Johannes Brahms: la ricerca di uno stile.

By Salvatore Margarone

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Johannes Brahms (Amburgo 1833 – Vienna 1897) è tra gli illustri compositori tedeschi del XIX secolo.

Dai primi rudimenti musicali appresi dal padre, suonatore di contrabbasso, passò velocemente allo studio del pianoforte con F.W. Cossel. La sua capacità di apprendimento nel campo musicale gli permise, sin da giovanissimo, di guadagnarsi un posto in alcune orchestre locali, nelle quali ha imparato l’arte dell’accompagnamento, nonché di approfondire lo studio della composizione con E. Marxsen.

Già a vent’anni accompagnava il famoso violinista R. Reményi in alcune tournée, e grazie a quest’ultimo, conobbe il violinista, direttore d’orchestra e compositore tedesco J. Joachim che, già famoso, lo introdusse nei più influenti circoli musicali tedeschi dell’epoca.

In questi circoli ebbe la fortuna di incontrare Franz Liszt a Weimar (1853) che, dai documenti giunti a noi fino ad oggi, pare lo lasciò quasi del tutto indifferente. Cosa contraria invece avvenne per l’incontro con Robert Schumann a Düsseldorf. quest’ultimo, vedendo in Brahms una sorta di antidoto alla corrente progressista rappresentata da Liszt e Wagner, in un vigoroso articolo sulla “Neue Zeitschrift für Musik” di quell’anno, lo segnalò al pubblico come una promessa della nuova generazione musicale.

Gli anni che seguirono furono dedicati, con devozione, all’amica Clara Schumann, alla quale rimase costantemente vicino durante l’inguaribile malattia del marito Robert (1854-56).

In questo stesso periodo Bramhs, , fino ad allora rimasto nell’ambito dei Lieder e delle composizioni per pianoforte, incoraggiato sempre più dall’amico Joachim, allo scopo di allargare il suo orizzonte tecnico-stilistico, coltivò esercizi di contrappunto e si accostò alla tecnica orchestrale. Iniziò così un periodo fecondo nel quale nacquero capolavori come i 2 Quartetti con pianoforte op.25 e op. 26, composizioni sinfonico-corali, come il Requiem Tedesco ed il Canto del Destino, che più tardi avrebbero fatto da trampolino di lancio alla Sinfonia vera e propria.

In Brahms si nota una consapevole gradualità nell’affrontare le diverse forme musicali in cui cimentarsi, il Nostro va infatti dalle più semplici a quelle sempre più complesse, facendo emergere così una consapevole ascesa nella gerarchia dei suoi valori musicali, al cui vertice troviamo la Sinfonia.

La sua devozione all’ideale della forma, le cui radici affondano nell’eredità lasciata da Beethoven, trovandosi al di qua di quella soglia romantica, e la sua fiducia che la musica possegga autonomamente, in assoluto, i germi della propria espressione, finirono col costringere Brahms a ricoprire  il posto di capo del partito antiwagneriano e dei classicisti. In realtà Bramhs era alieno ad ogni forma di polemica; ciononostante, la polemica sopravvisse ai suoi maggiori protagonisti, trovando anche, dopo la morte di Wagner, una sorta di variante alla contrapposizione fra Bramsh e Bruckner.

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Solo molto più in là si cominciò a capire che ciò che accomuna Brahms al romanticismo è più importante di ciò che lo separa, e a considerare, in tal modo, la sua opera come l’altro versante di un’unica realtà espressiva.

Nell’attività creativa di Brahms, la composizione pianistica, come fu per Beethoven, costituì una costante essenziale su cui preparare gli strumenti indispensabili per affrontare altri generi; di questi anni (1852-53) è il Primo Concerto per Pianoforte, e seguirono a ruota i suoi capolavori: Le Variazioni su un tema di Paganini op.35 e le Variazioni su un tema di Häendel op.24; a dieci anni di distanza prendono corpo anche le Variazioni su un tema di Haydn op.56 in una doppia versione, per orchestra e per pianoforte a 4 mani.

Del 1858-69 sono le 21 Danze Ungheresi op.35 per pianoforte a 4 mani, avvolte da quella vena popolare delle copiose raccolte di Kinderlieder (canzoni infantili)  per canto e pianoforte (1858) e di Volkslieder (canzoni popolari) per coro a cappella o per voce e pianoforte (1858, 1864, 1894).

Nell’ultimo periodo, cioè quello che va dal 1878 al 1897, Brahms può pienamente compiere il suo desiderio verso la Sinfonia, approcciando al pianoforte Capricci, Intermezzi e Rapsodie, solamente come una sorta di confessione pianistica.

Sono del 1877 e del 1878 la Prima e Seconda Sinfonia, rispettivamente op. 68 e op. 73, e le 2 Ouvertures per orchestra op. 80 e 81 (l’Accademica e la Tragica); troviamo anche Quartetti e Quintetti, oltre che alla Sonata per violoncello e pianoforte op.99; la Terza e la Quarta Sinfonia op. 90 e 98; in ultimo si ricordano le Sonate per violino e pianoforte op. 78,100 e 108, i Trii dell’op. 87 e 101,  i due Quintetti op.114 e 115, e le due Sonate per clarinetto e pianoforte op.120, che sono caratterizzate da una straordinaria pregnanza espressiva e da un’inquietudine armonica e timbrica, dove si denotano le ultime e forse più alte espressioni di tutta l’arte brahmsiana.

Ascoltando le sue opere possiamo dunque osservare quanto Brahms sia stato molto più vicino a Wagner che a Beethoven di quanto egli stesso pensasse, per la tortuosità e l’ampiezza dei giri armonici, soventemente spinti alle estreme possibilità tonali (come faceva Wagner del resto) e mai rigidamente conclusivi.

Perla del tardo romanticismo tedesco, Johannes Brahms rimarrà un autore fondamentale di transizione di un’epoca intramontabile che sfocerà, di lì a breve, in scombussolamenti tonali e formali che vedranno emergere compositori di spicco, tra cui l’ormai celeberrimo Richard Strauss, le cui innovazioni stilistico-armoniche, ancora oggi si ascoltano molto volentieri nelle composizioni.

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Antonio Vivaldi: il “Prete Rosso” padre della Sinfonia

Antonio Vivaldi: il “Prete Rosso” padre della Sinfonia

di Salvatore Margarone

 

Antonio Lucio Vivaldi (Venezia 1678 – Vienna 1741)  fu compositore e violinista italiano del periodo Barocco che, grazie al suo abbondante lavoro, esercitò una forte influenza sullo sviluppo musicale dell’epoca e portò ad un consolidamento stilistico di una delle forme musicali più in voga dell’epoca: la sinfonia.

Poco si conosce circa l’infanzia di Antonio. Fu figlio del violinista Giovanni Battista Vivaldi, grazie al quale, sin da piccolo, iniziò a cimentarsi nell’arte musicale. Antonio Vivaldi intraprese presto anche la carriera ecclesiastica e fu ordinato sacerdote nel 1703;  solo un anno più tardi, “il Prete Rosso” (nome affibbiatogli per il colore dei suoi capelli), fu costretto a rinunciare alla celebrazione della Santa Messa a seguito di una malattia bronchiale, forse l’asma.

Negli stessi anni (1703-04) Antonio divenne professore di violino presso il Pio Ospedale della Pietà, istituzione veneziana dedicata all’educazione musicale delle giovani orfane. Collegato ad esso per anni, molte delle sue composizioni furono eseguite prima di tutto dalla stessa orchestra femminile. In questo contesto nacquero i suoi primi lavori come le Suonate da camera op. 1 pubblicate nel 1705, e i dodici concerti che compongonoL’Estro Armonico Op. 3  pubblicati ad Amsterdam nel 1711.

Anche se  tali composizioni appaiono, ad un primo approccio, sotto la forma del “concerto grosso”, vivacità e fantasia d’invenzione, dato che tendono verso una concezione individualista, ne superano lo schema e prendono quindi la direzione del “concerto solista”, successivamente ancor più definita nei dodici concerti intitolati La Stravaganza Op.4. Questi ultimi,  strutturati in tre movimenti (Allegro –Adagio – Allegro), risultano, quasi esclusivamente, composizioni omofoniche, leggere e veloci, con modulazioni dinamiche ed espressive, inclini allo sviluppo del suo creatore, e sono fonte di nuove emozioni nel processo d’ invenzione.

Furono proprio questi componimenti che diedero ben presto grande fama ad  Antonio Vivaldi  in tutta Italia, che si diffuse molto velocemente nel resto d’Europa; questa non riguardava solo le sue composizioni ma anche, e non da ultimo, il violinista che egli rappresentava tra i  grandi virtuosi del suo tempo. Basta osservare le difficoltà delle parti soliste dei suoi concerti o sonate da camera per avvertire il livello tecnico raggiunto dallo stesso in questo campo.

Vivaldi fu autore prolifico non solo di  musica nel genere del Concerto, ma anche  di molta musica da camera, vocale e operistica. Famoso soprattutto per  i suoi quattro concerti per violino e orchestra riuniti sotto il titolo de  Le Quattro Stagioni, la cui fama ha eclissato le altre sue opere dello stesso valore, se non di più, di per sé Vivaldi è  uno dei più grandi compositori del periodo barocco, promotore della cosiddetta  scuola veneta, a cui  appartengono anche Tommaso Albinoni e i fratelli Benedetto e Alessandro Marcello e, di pari passo, con la qualità e l’originalità del loro contributo, i suoi contemporanei Bach e Haendel.

Conosciuto e ricercato, l’ambito dell’opera era l’unico genere che garantiva grandi profitti per i compositori del tempo; infatti, Vivaldi stesso ne fu attratto, anche se la sua condizione ecclesiale gli  impedì di affrontare tale genere, inizialmente considerato troppo banale e poco edificante. In realtà, i suoi superiori rimproverarono a Vivaldi sia la sua poca dedizione al culto sia i suoi costumi lassisti.

Immerso nel mondo del teatro, come autore e imprenditore, produrrà Ottone in Villa (1713), che fu la prima opera di Vivaldi di cui si ha notizia; seguirono titoli come Orlando Furioso, Armida al campo d’Egitto, Tito Manlio e L’Olimpiade, oggi, purtroppo,  rappresentate solo sporadicamente nei teatri.

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Musicista di fama, raggiunse il picco a metà della sua vita con la pubblicazione dei suoi più importanti componimenti strumentali, Il cimento dell’armonia e dell’inventione Op.8 e La cetra Op. 9. La prima raccolta fu pubblicata ad Amsterdam nel 1725 e conteneva un totale di 12 concerti, di cui i primi quattro per violino intitolati Le Quattro Stagioni, che, ad oggi, rimangono le migliori composizioni e le più famose di tutto il lavoro; la seconda raccolta, composta anch’essa da 12 concerti, fu dedicata all’Imperatore d’Austria Carlo VI e pubblicata due anni dopo nel 1727.

Le Quattro Stagioni dall’Op.8, non solo mostrano la capacità semantica della musica, ma anche la capacità del musicista di ricreare i suoni ricorrenti nelle stagioni: il tempo, le suggestioni, l’intimismo. Si possono definire una primordiale tipologia di musica a programma.

Il sonetto, che precede ognuna della quattro stagioni, descrive il ciclo annuale della natura: gli uomini che lavorano e gli animali che lo abitano. Ciascuno dei quattro concerti, quindi, sviluppa musicalmente il suo componimento letterario di autore ignoto, o forse dello stesso Vivaldi: il primo, La  Primavera, raffigurata nel sonetto anteposto, imita, ad esempio, il canto degli uccelli in primavera.  Il dettaglio descrittivo del desiderio raggiunge la sua rappresentazione attraverso il violino solista imitandone il pastore addormentato, mentre i restanti violini imitano il mormorio delle piante e la viola il cane che abbaia.

Il secondo descrive il torpore estivo della natura al sole arido dopo una tempesta, come annunciato nel primo movimento, raggiungendo la sua massima violenza alla fine dell’Autunno (il terzo), che sembra presieduto dal dio Bacco: ha l’ebbrezza soporifera di un abitante del villaggio, vendemmiando felicemente, poi, all’alba, appare una nuova figura, il cacciatore, con i suoi corni e i suoi cani in cerca di prede. Nell’ Inverno (il quarto), predominano le immagini sonore della neve e del ghiaccio, elementi tipici di questa stagione.

Firma di Vivaldi su una lettera contenuta presso gli Archivi di Stato di Bologna. | Archivi di Stato Bologna.  Image by © Arne Hodalic/CORBIS

La popolarità di questo componimento risale allo stesso momento della sua creazione, tanto che, soprattutto del primo concerto, La Primavera, circolarono in Francia alcune copie con imitazioni scritte a mano degli arrangiamenti. Verso la fine degli anni ’30 del XVIII secolo, il pubblico veneziano cominciò a mostrare  poco interesse verso la sua musica, così Vivaldi decise, nel 1741, di tentare la fortuna oltralpe dirigendosi  a Vienna, dove morì in povertà assoluta un mese dopo il suo arrivo.

Dopo la sua morte, la sua musica cadde nell’oblio per un lungo periodo; la riscoperta di queste opere  non avvenne prima del ventesimo secolo, grazie alla mano paziente di Bach, che aveva trascritto precedentemente i suoi dodici concerti per diversi strumenti.

A soli due anni dalla ripresa e dalla diffusione della sua opera, la musica di Vivaldi divenne tra la più eseguita nel mondo. Nonostante il triste epilogo del compositore veneziano e il lungo periodo di abbandono, l’opera di Vivaldi contribuì, attraverso Bach, a gettare le basi per quella che sarebbe stata la musica dei maestri del classicismo, in particolare in Francia, e a consolidare la struttura del concerto solista.

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L’Espressionismo in musica: verso i confini della tonalità

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di Salvatore Margarone

 

 

L’arte musicale, in quanto tale, racchiude in sé un mondo che abbraccia non solo la musica ma, anche e soprattutto, la Letteratura, la Filosofia e tutti gli ambiti ad esse correlate.

Questo per far capire che si tratta di una materia molto complessa, dai mille colori e ricca di sfumature, che ha avuto da sempre un’evoluzione sia oggettiva che soggettiva.

Per più di 600 anni si è composta  musica utilizzando quegli schemi teorici che ancora, fino ad oggi, sono alla base della teoria musicale.

Facendo un balzo in avanti nel tempo, si arriva al XIX e al XX secolo, periodo questo di veri cambiamenti intimi della musica, nel quale si è passati dal Classicismo al Romanticismo, e si è  approdati dall’Impressionismo all’Espressionismo. Su quest’ultimo periodo storico ci soffermiamo per comprenderne a fondo le caratteristiche.

Espressionismo è un termine nato nell’ambito della critica d’arte agli inizi del ‘900. Con questo termine si indica oggi un vasto movimento, che prese corpo in Germania tra il primo decennio del secolo da poco trascorso ed il 1918, ma che si protrasse fino agli anni a cavallo delle due guerre e che interessò tutte le arti dando così origine a diverse correnti, alcune di origine mistico-teosofica, altre di carattere politico-sociale, ma tutte unite, comunque, da un denominatore comune, quello del radicalismo umanitario.

Gli espressionisti si ribellavano soprattutto al materialismo della borghesia capitalistica e liberale, aspiravano al ritorno dell’uomo primigenio e all’avvento di un’umanità libera e più consapevole delle proprie possibilità, ma nonostante l’altezza dei loro ideali, non riuscirono a convogliare il loro sentimento di disagio della civiltà e la loro ribellione in un chiaro ed unico indirizzo ideologico.

L’Espressionismo, nelle arti figurative, inizialmente si manifestò ponendosi in antitesi col naturalismo e con le concezioni tecnico-formali dell’impressionismo, alla cui soggettività contrapponeva un esasperato soggettivismo.

Nel campo musicale, l’Espressionismo si individua principalmente nella cosiddetta “Scuola di Vienna”, formata da Schömberg, Berg e Webern i quali parteciparono  all’attività del gruppo Der blaue Reiter (Il cavaliere azzurro), fondato dai pittori Marc e Kandinskij.

Schömberg contribuì con un importante scritto sul nesso tra musica e testo e con la composizione di Herzgewächse, per soprano, celesta, organo e arpa; Berg con il suo primo pezzo atonale, una melodia per canto e pianoforte, l’op.2 n°4, Webern si aggregò partecipando anch’egli con un brano per voce e pianoforte atonale, l’ op. 4 n°5.

Da questa collaborazione si evince chiaramente che i tre musicisti si sentivano solidali con le ricerche figurative degli artisti espressionisti.

L’allontanamento dal dato naturalistico, postulato dalla poetica espressionista, condusse al graduale abbandono della tonalità, cioè da quel sistema in cui si era identificata la naturalità del mondo sonoro. La possibilità nuova di poter utilizzare  intervalli fuori dal sistema cosiddetto “temperato”,  come terze e seste di tono, era già stata teorizzata nel 1907 da un altro grande compositore, Ferruccio Busoni, nel suo “Saggio di una nuova estetica della musica”, le cui opere di quel periodo appaiono molto vicine a quelle della Scuola di Vienna.

Ma non solo, anche nel sistema temperato vi era la possibilità di superare quella “tonalità”, sovrapponendo intervalli di terza, da cui scaturirà l’atonalità.

Gli accordi per quarte vennero utilizzati da  Schömberg nelle sue opere del primo periodo espressionista, e non solo da lui. Anche Skrjabin, componendo Prometeo (1910) per orchestra, coro, pianoforte e “clavier à lumières”(strumento da lui ideato per trasformare i suoni in sequenze di luci) fu al centro delle attenzioni degli artisti del Blaue Reiter.

Le forme musicali di questo periodo sono brevi ed incisive, basti pensare ad alcuni brani del  Pierrot Lunaire (1912) per voce e pianoforte di  Schömberg, quelli per pianoforte e clarinetto op.5 di Berg e la gran parte dei lavori di Webern.

Nelle melodie di queste composizioni ciò che balza subito all’occhio sono i grandi salti di intervallo, in particolare quelli di settima e di nona.

A questo proposito si ricordano gli ampi intervalli assegnati al canto da Richard Strauss nelle opere scritte in questo periodo, specialmente Salomè (1905) ed Elektra (1909), le quali, pur spiritualmente estranee all’espressionismo, mediarono il passaggio dal dramma wagneriano a quello espressionista, esercitando un influsso diretto su Berg.

Anche altri autori svolsero un ruolo non trascurabile nel processo storico che portò alla Scuola di Vienna. Tra loro ricordiamo A. von Zemlinsky (che fu anche insegnante di  Schömberg), Bartòk, ed anche Hindemith.

Di questo periodo sono da ricordare opere  teatrali come il Wozzek e la Lulù di A. Berg, che saranno  considerate anche l’instradamento verso la dodecafonia da autori come: E. Krenek, W. Vogel e K. Weill, il quale legherà la sua fama soprattutto alla collaborazione con B. Becht.

Come si è potuto leggere, esistono stretti legami tra la musica e le altre arti, sia figurative che letterarie, le quali sono imprescindibili le une dalle altre, e che necessitano di un’ampia conoscenza per far comprendere a fondo un periodo storico musicale. Questa è una cosa sicuramente molto ardua, ma è necessaria per gustare a pieno le composizioni nate in questo periodo e che ancora oggi non vengono comprese dalla maggioranza del pubblico. Oggi, più che mai, si ha la necessità di operare un maggiore approfondimento delle conoscenze a 360 gradi per affrontare il così vasto mondo musicale, che può mandare in estasi al suo ascolto.

Soltanto se l’ascoltatore saprà carpirne l’essenza lo gusterà a fondo e potrà così stabilirne la sua grandezza.

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La Musica in Italia: Arte distrutta?

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Da anni ormai stiamo assistendo ad un declino di quell’arte, la Musica, che in Italia in special modo,  non si sta evolvendo come dovrebbe e come invece sta accadendo in altre nazioni vicine e lontane.

Un sistema viziato che negli anni ha fatto in modo di far morire l’Arte più alta tra le Arti.

Purtroppo, ci si riferisce in special modo all’ambito operistico e classico, l’ignoranza la fa da padrone, in quanto, per un populismo ormai radicato, è divenuta impossibile la naturale evoluzione di cui si avverte la necessità.

Si, populismo, perché purtroppo è anche colpa del pubblico che oggi frequenta teatri e sale da concerto, che con la propria “ignoranza” pretende di imporre le varie stagioni in questi enti.

Si constata ciò in quanto in altre nazioni, come ad esempio la Germania, l’Austria, la Francia o l’America, vi è una varietà di proposte che il pubblico segue e comprende; sicuramente la risposta è una sola: in quanto Arte, la Musica, ingloba in sé diversi ambiti: Letteratura, Storia, Filosofia; ambiti questi che purtroppo, in Italia, sono ormai diventati secondari  se non indifferenti.

Invece, a parere di chi scrive, sono tutti collegati fra di loro, l’uno non prescinde l’altro, nel senso che una Nazione come l’Italia, che di Cultura potrebbe vivere e vendere, non c’è quell’attenzione e quell’interesse per far sì che il popolo si evolva culturalmente.

Se facciamo un passo indietro di soli 200 anni, prendendo ad esempio la Germania, constatiamo che  la cultura veniva messa al primo posto: non si era un musicista completo e credibile se non si avevano solide basi Teologiche, Filosofiche e Letterarie; infatti, se vogliamo ricordare bene le cose, proprio in Germania nasce quella corrente letteraria che gettò le basi e che costrinse i molti compositori dell’epoca a cambiare i loro stili compositivi e, di conseguenza, cambiare i gusti del pubblico. Stiamo parlando del Romanticismo che, agli inizi degli anni ’20 dell’800, sconvolse tutte quelle sicurezze e forme musicali assodate del tempo classico.

Ma andando ancora avanti si arriva alla fine dell’800, epoca in cui vennero rimesse in discussione le tesi sostenute dal Romanticismo, portando quell’evoluzione letteraria e quindi musicale che fece nascere le varie correnti letterarie come il Simbolismo, l’Espressionismo, ecc… apportando così quei cambiamenti culturali da cui nacquero compositori di tutto rispetto: Debussy, Ravel, Wagner,  Strauss, ecc…

Passando all’Italia, invece, tutto ciò sembra che non l’abbia nemmeno sfiorata: l’alta Arte della cultura germanica non ha minimamente sfiorato la nostra Nazione, quando invece doveva prenderla ad esempio. Proprio in Italia, culla dell’opera e di fior fior di operisti e compositori, di letterati, poeti, ecc… , siamo rimasti ancorati a quel senso populistico della musica in quanto tale.

Già a partire dal Romanticismo, in Italia, non vi è stato quel coinvolgimento musicale, ne tanto meno successivamente, che ha portato a quell’evoluzione culturale che in altri paesi ha avuto luogo.

Il motivo? La poca cultura del pubblico, che è sempre rimasto volutamente ancorato a degli stereotipi di musica apparentemente romantica e post-romantica.

Difatti, oggi cosa possiamo sentire nei teatri o nelle sale da concerto? Sempre la stessa musica…!

Perché? Per il motivo sopracitato, la mancata evoluzione culturale!

Si è vero che l’Italia è patria dell’Opera, ma è anche vero che l’Opera è popolare, quindi di conseguenza, deve compiacere il pubblico; pubblico che, ancora oggi, se non gli si fa sentire Verdi o Puccini non va a teatro snobbando tutto il resto.

Se il cultore così vuole essere chiamato, deve adempiere a quei cambiamenti che il tempo gli impone, così come avveniva 200 anni fa; non basta andare a teatro per una serata mondana, andare a teatro significa andare ad una serata di cultura! Ma ci si rende conto che la massa ormai si reca in questi luoghi quasi per moda, non comprendendo quello a cui assiste.

Ecco perché i cartelloni dei teatri o delle stagioni concertistiche sono ormai tutti uguali e sempre con gli stessi titoli.

La colpa di ciò non è solo del pubblico, ma soprattutto dei musicisti che non osano nelle proposte e guidando così il pubblico a quel cambiamento che oggi necessita.

Oggi si parla tanto di musica contemporanea, ma non se ne sente quasi nulla in giro, anzi, viene quasi evitata perché non la si comprende e non si vuole fare fatica per comprenderla.

Allora l’Arte della Musica così facendo è già distrutta.

Non ci lamentiamo se ascoltiamo sempre le stesse opere liriche, gli stessi Studi di Chopin, le Sonate di Beethoven, è già tanto se sentiamo buone esecuzioni.

E non si osi proporre qualcosa non in lingua italiana! Guai!

I commenti sarebbero “…non capisco cosa si dice!…”, anche se non si capiscono le parole la musica è fatta soprattutto di note!

L’arte va coltivata giorno per giorno, proprio come un orticello, solo così le piccole piantine cresceranno e daranno i loro frutti.

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La voce soave: Farinelli

BROSCHI, Carlo Maria Michele Angelo, detto Farinelli o, più sovente, Farinello.
Nacque ad Andria il 24 gennaio 1705 da Salvatore Brosca e da Caterina Barrese. Apprese i primi elementi musicali dal padre e dal fratello Riccardo; poi condotto a Napoli verso il 1714-1715 (e qui probabilmente evirato), entrò alla scuola privata di N. Porpora. Dotato di non comuni attitudini musicali e di una voce molto bella, fu protetto dalla facoltosa famiglia di magistrati napoletani Farina, da cui trasse la denominazione di Farinello.
Il suo debutto sembra avvenisse nel 1720 a Napoli nella serenata Angelica e Medoro del Porpora il cui testo, di Metastasio, era anche la prima prova drammatica del poeta: tale notizia sembra ormai affermata da F. Walker (citato dall’Enc. dello Spett.).

Farinelli

A quell’anno, comunque, o al 1722, risalirebbero l’amicizia e la stima fra il B. e il Metastasio – i quali solevano chiamarsi l’un l’altro “gemello” -, amicizia e stima che durarono quanto la loro vita.
Al contrario di quanto si credeva, nel 1721 il B. non cantò nell’opera Eomene del Porpora al Teatro Alibert o delle Dame di Roma: il suo nome, infatti, non figura fra gli interpreti dell’opera, come è provato dal De Angelis, mentre è accertato che nel gennaio 1722 cantò, sullo stesso teatro romano, nella Sofonisba di L. A. Predieri e nel Flavio Anicio Olibrio del Porpora (libretto di A. Zeno), nel ruolo di Placidia. Il De Angelis, anzi, annota che questo sembra essere il primo vero trionfale debutto del Broschi. Dal 1722 iniziò, con una compagnia diretta dal Porpora, un giro di rappresentazioni nelle principali città italiane ed europee che durò un intero quindicennio, ovunque ottenendo successi indicibili, avendo a fianco i più grandi cantanti dell’epoca: Vittorina Tesi, Francesca Cuzzoni, Faustina Bordoni Hasse, G. Amorevoli, N. Grimaldi, F. Bernardi detto il Senesino, ecc. Ebbe un vasto repertorio e fra le numerosissime interpretazioni memorabili furono quelle del concerto alla corte viennese nell’inverno 1724, della Didone abbandonata di T. Albinoni (libretto del Metastasio) al Teatro S. Cassiano di Venezia nel carnevale 1725, dei Fratelli riconosciuti di G. M. Clari al Nuovo Teatro Ducale di Parma il 13 maggio 1726, della Fedeltà coronata, ossia l’Antigonedi G. M. Orlandini (libretto di B. Pasqualigo) al Teatro Malvezzi di Bologna nell’estate 1727, accanto al celebre e non più giovane cantante A. Bernacchi, che gli fu prodigo di consigli, dei concerti ancora alla corte di Vienna nel 1728 e nel 1731, dell’Edippo a Colono di P. Torri (libretto di D. Lalli) al teatro di corte di Monaco il 22 ottobre 1729, dell’Idaspe del fratello Riccardo (libretto di G. P. Candi) al Teatro S. Giovanni Grisostomo di Venezia nel carnevale 1730, dell’Artaserse di j. A. Hasse (libretto del Metastasio) allo stesso teatro l’ultima sera di carnevale 1730, e infine della Merope, ancora del fratello Riccardo (libretto di A. Zeno) al Teatro Regio di Torino il 29 ottobre 1732.

Farinelli storica

Veri trionfi riscosse a Londra al Lincoln’s Inn Fields Theatre il 29 ottobre 1734, quando cantò nell’Artaserse dello Hasse con arie di altri musicisti, fra le quali una specialmente, del fratello Riccardo, inserita al terzo atto, “Son qual nave ch’agitata”, suscitò negli spettatori un entusiasmo straordinario per un’eccezionale messa di voce, ferma, sostenuta fino alla fine e particolarmente lunga. La potenza e il fascino della sua voce in quest’opera furono tali da far dimenticare al suo rivale Senesino, che interpretava il ruolo del tiranno Artabano, la finzione scenica: il cantante, infatti, commosso gettò le braccia al collo di Farinelli, che interpretava la parte di Arbace. A Londra egli si trattenne fino al 4 maggio 1736, partecipando alla contesa del Porpora contro Haendel e trionfando, oltre che sul Senesino, anche sull’altro celebre cantante Gaetano Majorano, detto il Caffarello. Nell’estate del 1736 si recò a Parigi, dove diede applauditissimi concerti, e a Versailles, ma il 23 novembre dello stesso anno faceva ritorno a Londra. Alla fine del maggio 1737 Farinelli, che nel frattempo aveva ricevuto l’invito della corte spagnola, per mezzo dell’ambasciatore spagnolo a Londra, il conte di Montijo, a recarsi come cantante di camera dei reali di Spagna, Filippo V e Elisabetta Farnese, accettò un compromesso temporaneo e si mise in viaggio per la Spagna. Il 9 luglio 1737 si fermò a Versailles di nuovo e qui si esibì con grandissimo successo alla presenza del re Luigi XV, poco amante della musica e in particolare di quella italiana, ma che in quest’occasione lo ricolmò di ricchissimi doni.
Giunto il 7 agosto 1737 a Madrid, fu accolto con grande favore da Filippo V e da sua moglie: già il 30 agosto lo stesso Filippo, lo ammise quale “familiar Criado” con regolare diploma, cui era unito uno stipendio di circa 2.000 ducati e in più alloggio, servitù con livrea di corte, carrozze con cavalli reali e il privilegio dell’esenzione da qualsiasi giurisdizione. Non poche furono, fino al dicembre 1737, le difficoltà e le trattative perché Farinelli potesse stabilirsi al servizio di Filippo V; l’impresa del teatro inglese, nella quale s’era impelagato anche il Porpora, non voleva liberarlo dall’impegno, in quanto la rottura del contratto le avrebbe causato una grave perdita finanziaria. Alla fine vinse Filippo V e Farinelli terminò così a Madrid tutte le sue peregrinazioni artistiche.
Il favore da lui goduto alla corte di Filippo V e di Elisabetta Farnese aumentò a dismisura con i successori di questi sovrani, Ferdinando VI e Barbara di Braganza. Gli furono affidate, infatti, la cura della cappella musicale reale e la direzione dei teatri reali del Buen Retiro, di Aranjuez e de los Caños del Peral. Si deve a Farinelli il definitivo trionfo del dramma musicale italiano: egli fece tradurre i libretti in castigliano, chiamò in Spagna i più famosi cantanti e strumentisti italiani e ricorse a messe in scena straordinariamente fastose e immaginose, che utilizzavano invenzioni meccaniche in parte sue, in parte del macchinista bolognese G. Bonavera, da lui chiamato alla corte spagnola. In tale modo Farinelli sostituì completamente nei gusti della corte e dell’aristocrazia il melodramma italiano al teatro in versi, che, tuttavia, conservava ancora molto favore nel popolo. Suo compito fu pure, per esplicita richiesta del re, di cantargli tutte le sere quattro arie, due dall’Artaserse di Hasse, “Pallido il sole” e “E pur questo dolce amplesso”, un minuetto, che Farinelli cambiava sempre, e un’aria forse di sua composizione, imitante il canto dell’usignolo. Benché sia giudizio diffuso che egli non abusasse della sua eccezionale posizione presso i sovrani spagnoli (con decreto del 3 settembre 1750 Ferdinando VI in persona gli aveva offerto la croce dell’Ordine di Calatrava, che si concedeva solo ai nobili) per immischiarsi negli affari politici, è vero piuttosto il contrario. Non solo, infatti, egli sollecitò incessantemente l’intervento di Filippo V, di Elisabetta Farnese e di Ferdinando VI presso la corte napoletana, perché fossero concessi titoli e uffici ai suoi familiari napoletani (il fratello Riccardo, il cognato Giovanni Domenico Pisani, Domenico Barberello Grimaldi e altri), il che senza dubbio non fu di piccolo peso nell’inclinare ranimo del successore di Ferdinando VI, Carlo di Borbone, contro di lui; ma anche pretese di prendere attiva parte, con suggerimenti e iniziative le più varie, alla politica di riforme del ministro Zenón de Somodevilla, marchese de la Ensenada, legandosi così al destino politico di lui.

FilippoV                                               FerdinandoVI

Filippo V

Nel 1752 egli tentò, ma inutilmente, d’indurre Carlo di Borbone, attraverso Elisabetta Farnese, ad accettare il trattato di Aranjuez tra la Spagna, l’Impero e il re di Sardegna; due anni dopo impiegò tutta la sua influenza su Ferdinando VI per sostenere la politica di accordi con la Francia proposta dal marchese de la Ensenada, contro quella favorevole all’Inghilterra del duca di Huéscar, del conte di Valparaiso e di Riccardo Wall; nell’agosto 1758, dopo la morte di Barbara di Braganza, intrigò con il duca d’Alba per indurre Ferdinando VI a un nuovo matrimonio. Nociva finì per essergli anche la protezione della regina Barbara, la cui memoria divenne invisa alle corti borboniche per il testamento che dichiarava erede di tutte le sue sostanze la casa reale del Portogallo. Durante la lunga infermità di Ferdinando VI, inoltre, diede adito al sospetto di macchinare contro i diritti alla successione sul trono spagnolo di Carlo di Borbone. Finalmente dovette essere decisivo contro Farinelli il giudizio del più ascoltato consigliere di Carlo, il ministro Bernardo Tanucci, il quale, a proposito del cantante, osservava: “Non è cosa che più disanimi gli onorati ministri d’un sovrano che queste figure inferiori le quali, non essendo obbligate a rispondere della condotta del governo, di governo clandestinamente parlano, e di affari. Muovono il sovrano, del quale non può poi il ministro far querela”… (lettera al principe di Jaci, 19 luglio 1757). Il 28 novembre 1758, scrivendo ancora al principe di Jaci, ambasciatore a Madrid, definiva Farinelli “una figura arabica… che costì non c’è stato e non ci sarà che per guastare e inquietare il Pubblico e il Privato” . Il 13 febbraio 1759 ancora il Tanucci ammoniva il suo corrispondente da Vienna Francesco Bindi: “…la regina morta di Spagna [Barbara di Braganza], Ensenada, Farinello, ecc. son nomi che non si devon più rammentare da chi vuol aver carità del genere umano.
Questi motivi spiegano il comportamento, che nel giudizio di molti autori appare ingiustificato, di Carlo di Borbone verso Farinelli al momento di salire sul trono spagnolo (1759): egli ordinò, infatti, al ministro Riccardo Wall che Farinelli fosse lasciato libero di andare dove meglio gli piacesse, conservando tutti i suoi stipendi e privilegi, nonché tutti i doni ricevuti (fra i quali due violini, un Amati e uno Stradivari, tre clavicembali assai pregiati e tutta la musica della regina), a patto, però, che non gli si presentasse innanzi.
Così, nell’autunno 1759, Farinelli tornò in Italia e fu dapprima a Parma, dove avrebbero voluto trattenerlo alla corte, poi nel novembre del 1760, si recò a Napoli, accolto con molto entusiasmo dal popolo, ma con tale freddezza dai membri della Reggenza, che preferì, dal 3 luglio del 1761, fissare la residenza in una villa di sua proprietà a Bologna. Qui, ricco e carico di gloria, ossequiato dalla cittadinanza, dai magistrati, da letterati e musicisti, fra i quali il padre G. B. Martini (che gli fu grande amico), Mozart e Gluck, e persino da sovrani, come l’elettrice di Sassonia e Giuseppe II d’Asburgo Lorena, Farinelli morì il 15 luglio 1782.
L’arte del Farinelli fu giudicata da chi lo ascoltò assolutamente inarrivabile e la sua fama può paragonarsi solo a quella del suo illustre “gemello” Metastasio, ambedue tipici rappresentanti del sec. XVIII, ricco di grandi figure. Come cantante ebbe voce di sopranista naturale, dall’estensione di tre ottave, di timbro chiarissimo, dolce e penetrante, che all’inizio della sua carriera adoperò più per suscitare meraviglia che per far musica. Amava, infatti, variare, secondo la moda del resto, tutte le arie, ma lo faceva con gusto e abilità, essendo egli stesso un buon musicista: compose, infatti, un Ossequioso ringraziamento per le cortesissime grazie ricevute dalla britannica nazione (1737), sei Arie con strumenti e altri pezzi vocali e strumentali. Suonava anche il cembalo e la viola da maestro e con tali strumenti si dilettò nei lunghi anni della sua vecchiaia, continuando a cantare fino agli ultimi giorni con voce chiara e perfetta, nella quale non si percepiva l’usura del tempo.
Eccezionale fu la sua tecnica vocale: trillo uguale, rotondo e della medesima forza qualunque fosse la durata; chiarissimi i mezzi trilli, i gruppetti, le scale velocissime, le appoggiature eleganti, ma soprattutto straordinaria la messa di voce, alla quale s’è già accennato. Colto e raffinato (conosceva benissimo le lingue francese, inglese, tedesca e spagnola), fu anche di bell’aspetto ed elegante. Divulgatore della cultura italiana, aiutò generosamente gli artisti italiani ad affermarsi ovunque i suoi impegni all’estero lo conducessero. “Il complesso stesso delle sue eccezionali qualità di uomo e di artista ne fecero un fenomeno unico e irrepetibile” (Enc. dello Spett.).

L’Anima della Russia Romantica: Petr Il’ic Čajkovskij (1840- 1893)

Come si può dimenticare uno dei compositori che hanno fatto la storia della musica di tutti i tempi?

Nel 175° anniversario della nascita, tracciamo un breve profilo del compositore per onorare la sua memoria e le sue opere più importanti che hanno fatto, e fanno ancora oggi, la Storia della Musica.

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Petr Il’ic Čajkovskij, scritto anche Chaikovsky, Chaikovskii o Tschaikowsky ( nome e cognome anglicizzato come Peter Ilich Tchaikovsky) nato il 25 aprile 1840 a Votkinsk ( Russia) , morto  il 25 ottobre del 1893 a San Pietroburgo, è il più popolare compositore russo di tutti i tempi. La sua musica ha sempre avuto grande richiamo per il grande pubblico in virtù delle sue melodie cantabili a cuore aperto, armonie impressionanti e colorate, pittoresca orchestrazione, i quali evocano una profonda risposta emotiva.

La sua opera comprende: 7 sinfonie, 11 opere, 3 balletti , 5 suite, 3 concerti per pianoforte, un concerto per violino, 11 aperture (in senso stretto, 3 aperture e 8 opere orchestrali programmatiche in un movimento), 4 cantate, 20 opere corali, 3 quartetti d’archi , un sestetto d’archi, e più di 100 canzoni e pezzi per pianoforte, tra cui la famosissima  “Mignon”.

Petr Il’ic Čajkovskij (1840-1893) è uno dei più fecondi compositori russi del secondo Ottocento e anche uno dei più noti a livello internazionale.

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Čajkovskij, fu il diretto antagonista del dilettantismo” e quindi del “Gruppo dei Cinque”; fu subito molto legato alle istituzioni, studiando al Conservatorio di San Pietroburgo, per poi salire in cattedra come professore di Armonia e Contrappunto al Conservatorio di Mosca, che all’epoca era di tendenza filo occidentale; in alcuni dei suoi lavori, nonostante fosse molto influenzato da quella tendenza, si riscontrano anche i caratteri del linguaggio tipicamente russo.

Compose per ogni genere, dal profano al sacro, allo strumentale sinfonico e da camera. Compone anche sinfonie e poemi sinfonici, tra i quali spiccano Francesca da Rimini del 1876 e Romeo e Giulietta del 1880. Scrisse inoltre, tre concerti per pianoforte e un concerto per violino e orchestra.

Čajkovskij subisce molto le influenze di Beethoven e Liszt, e soprattutto di quest’ultimo, per la trasformazione costante dei temi all’interno del movimento, per esempio dallo staccato al legato e viceversa, riproponendoli poi con caratteri diversi di tempo.Nel primo movimento in forma sonata della Quarta sinfonia in fa min. op.36 del 1878, e precisamente il primo tema Moderato con anima, è un chiaro esempio di ciò.

Ma il genio di Čajkovskij ha lasciato il segno specialmente nei tre celebri balletti sinfonici: Il lago dei Cigni del 1877, La bella addormentata nel bosco del 1890 e Lo Schiaccianoci del 1892.

Con questi lavori, Čajkovskij ha riabilitato la musica del balletto d’arte, dove la musica non diviene un semplice accompagnamento alla danza, ma bensì un elemento attivo e integrante della coreografia.

In precedenza, soltanto il francese Léo Delibes (1836-1891) si era addentrato nell’impegno artistico compositivo musicale, di un certo livello, per i balletti.

Il balletto entra dunque nelle corti, ed in particolar modo in quelle degli zar, dei granduchi e, di conseguenza nel secondo Ottocento, la capitale del balletto divenne proprio San Pietroburgo. A contribuire a questo successo, fu anche il grande coreografo Marius Petipa (1819-1910), il quale collaborò con Čajkovskij per Lo Schiaccianoci e per La bella addormentata nel bosco.

Le musiche per questi balletti, si distinguono per il lirismo dei temi ed anche per l’eleganza del disegno ritmico. Čajkovskij fu un orchestratore immaginoso, inserendo la celesta, nella Danza della Fata Confetto; in nessun altro paese d’Europa, il nazionalismo musicale assunse un livello maggiore di intensità quanto in Russia.

Il periodo successivo alla partenza di Čajkovskij da Mosca si dimostrò creativamente molto produttivo. All’inizio del 1878 termina alcune delle sue più famose composizioni: l’opera Evgenij Onegin, la Sinfonia n ° 4 in fa minore e il Concerto per violino in re maggiore. Dal dicembre del 1878 all’agosto 1879 ha lavorato per il teatro lirico La Pulzella d’Orleans, in cui non fu particolarmente ben accolto. Nel corso dei successivi 10 anni Čajkovskij porta a termine le sue opere Mazepa (1883, sulla base di Poltava di Aleksandr Pushkin) e The Enchantress (1887), così come le sinfonie magistrali Manfred (1885) e la Sinfonia n ° 5 in mi minore (1888). I suoi altri grandi successi di questo periodo comprendono la Serenata per archi in do maggiore, Op.48 (1880), Capriccio Italien (1880) e l’Ouverture 1812 (1880).

Čajkovskij ha saputo esprimere l’anima della Russia romantica nelle sue composizioni che, ancora oggi, suscitano nel pubblico irripetibili ed uniche emozioni.

Amilcare Ponchielli e Arrigo Boito: gli anni delle collaborazioni fortunate!

Nell’ottocento operistico italiano ritroviamo uno dei musicisti di cui poco si parla e che invece andrebbe rivalutato e studiato per la sua valenza di compositore e docente:Amilcare Ponchielli (Paderno 1834 – Milano 1886). Nato nella provincia di Cremona, iniziò gli studi al Conservatorio di Milano dove, dal 1883, insegnò composizione ed ebbe come allievi altri due futuri grandi protagonisti delle scene operistiche italiane: Giacomo Puccini e Pietro Mascagni.

Erano gli anni della Scapigliatura Milanese, quando da maestro di cappella nella chiesa di S. Maria Maggiore, a Bergamo nel 1861, ottenne la sua affermazione come operista con la sua prima composizione teatrale I Promessi Sposi , già composta e rappresentata a Cremona nel 1856 su libretto anonimo, ma in seguito rielaborata su libretto di E. Praga ed andata nuovamente in scena al Teatro Dal Verme di Milano nel 1872, che gli valse una scrittura al Teatro alla Scala di Milano.

Ad un altro notevole successo con I Lituani (1874), seguì il trionfo con la sua Giocondasempre alla Scala, su libretto di Tobia Gorrio, uno pseudonimo di Arrigo Boito (prima versione 1876; seconda versione 1880).

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Amilcare Ponchielli

Amilcare Ponchielli

La produzione operistica di Ponchielli si colloca in un momento difficile del melodramma italiano, visto il mutato clima morale che segue la fine degli anni risorgimentali; Verdi cerca ormai vie nuove, ma i suoi epigoni si rifanno ancora alle sue opere di maggior successo e ne riducono i caratteri a formule e a ricerca di sicuri effetti.

Tra questi epigoni Ponchielli si inserisce con dignità: La Gioconda, che è la sua opera più riuscita e l’unica rimasta in repertorio ad oggi, si avvale di un libretto abile, tutto improntato al gusto spettacolare del grand-opéra.

Di forti tinte passionali e drammatiche, La Gioconda è il tipico esempio di opera popolare romantica, che tiene conto delle precedenti esperienze verdiane, con una scrittura vocale di effetti teatrali che preludono il verismo. Il soggetto dell’opera, che si ispira al dramma “Angelo, tyran de Padoue” di V. Hugo, ambientato nella Venezia del sec. XVII, rappresentò, per il librettista Boito, soprattutto l’azione da lui svolta per aprire il gusto letterario e musicale italiano, che riteneva “provinciale”, a influenze europee talvolta sopravvalutate.

Amilcare-Ponchielli1Anche non evitando l’enfasi, il lirismo elegiaco di Ponchielli in quest’opera diede frutti melodicamente pregevoli. A tal proposito è bene ricordare alcune arie e danze famose di quest’opera: l’aria della Cieca – “A te questo rosario”; l’aria di Barnaba – “O monumento”; la famosissima“Danza delle Ore”; l’aria di Gioconda –“Suicidio!”.

Successivo alla Gioconda è Il figliuol prodigo (1880) che risulta il più meditato dei suoi lavori per stile e struttura, mentreMarion Delorme (1885) risente l’accentuarsi di una vena quasi crepuscolare già presente, a dire il vero, anche in Gioconda.

Arrigo Boito

Arrigo Boito

Ma fu Arrigo Boito ( Padova 1842 – Parigi 1918), in veste di operista, compositore e letterato, ad imporsi nella rosa degli operisti italiani con il suo Mefistofeledel 1881, data della stesura definitiva dell’opera, che lo consacra agli altari, grazie anche alle sue fortunate collaborazioni con l’ultimo Verdi per il Simon Boccanegra, Otello e Falstaff, rubando così definitivamente la scena ad Amilcare Ponchielli, che scrisse a seguire poca musica: 3 opere, 1 operetta, 1 farsa e 2 balletti.

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Il contributo di A. Boito alle creazioni dell’ultimo Verdi fu di grande rilievo: nel nuovo librettista il grande compositore di Busseto trovò un collaboratore capace di soddisfare le sue ultime e più complesse esigenze drammatiche; e fu appunto nell’ultimo Verdi che si realizzò compiutamente quella fusione tra musica e dramma, ed il superamento delle forme chiuse tradizionali che Boito aveva perseguito nelle proprie opere con esiti tanto meno persuasivi.

falstaff_boito1

nerone_boitoNella poetica di Boito, significativa più per le intenzioni che per i risultati, la musica si configura romanticamente come momento supremo dell’arte, cui la poetica tende come a una sorta di inveramento assoluto.

La produzione letteraria di A. Boito, di cui vanno ricordati almeno il Libro dei versi, L’alfier nero e Re Orso, appare più interessante di quella musicale, pur con ciò che presenta anch’essa di irrisolto.

L’irrisolto, il non compiuto sono d’altronde le forme stesse dell’ispirazione di Boito, fondata sull’antitesi, intimamente sofferta, tra il Bene e il Male: un dualismo che nella sua musica si realizza perlopiù in modi schematici e forzati, apparentemente innovatori, ma in realtà condizionati e limitati da un gusto eclettico, che deriva in parte da Meyerbeer e dalla romanza da salotto.

In definitiva possiamo affermare che più “scapigliato” di così non poteva essere certamente, visti gli anni tumultuosi in cui ha vissuto, lasciando a noi oggi notevoli e pregevoli testimonianze.

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Franz Liszt: L’Ungherese Virtuoso Del Pianoforte.

Franz Liszt: l’Ungherese virtuoso del pianoforte.

Franz Liszt nasce a Raiding, Ungheria, nel 1811, compositore e pianista virtuoso si distinguerà dai coevi per le sue spiccate doti musicali, divenute oramai memorabili. La sua vita è uno dei romanzi più emozionanti della storia della musica: virtuoso senza pari in tutto il corso della sua vita, soprattutto in gioventù, fu circondato da un’aura di artista geniale, violentemente diviso tra estasi mistica e estasi demoniaca.
Studente a Vienna  di Carl Czerny e Antonio Salieri, le sue performance causarono scalpore e lo portarono a trasferirsi con il padre a Parigi dove, nel 1825,  presentò il suo unico catalogo d’opera, Don Sanche, ou Le Château d’amour, accolta con poco entusiasmo dal pubblico parigino che lo considerò, più che un grande compositore, soltanto un pianista prodigio.
Nella capitale francese incontrò due dei musicisti che influenzarono molto la sua formazione musicale: il compositore Hector Berlioz con la sua Symphonie Fantastique e, in misura ancor maggiore, il violinista Niccolò Paganini. L’udire quest’ultimo in un recital, nel 1831, fu una vera e propria rivelazione per il giovane virtuoso, il quale ricevette un imprinting di carattere violinistico nel suo modo di suonare: da quel momento, l’obiettivo di Liszt venne raggiunto al pianoforte con effetti sorprendenti, riuscendo ad estrarre Paganini dal suo violino. E vi riuscì soprattutto nei fatidici Studi di esecuzione.

liszt1dante_Liszt Idolo dei salotti parigini, risale all’anno 1834 la sua relazione con Marie d’Agoult, Comtesse de Flavigny, da cui avrà sua figlia Cosima, futura moglie del direttore d’orchestra Hans von Bülowprima, e Richard Wagner più tardi.
La sua carriera musicale, nel frattempo, continuò in modo inarrestabile e nel 1848  ottenne la carica di maestro di cappella di Weimar, una città diventata nel frattempo un punto di riferimento per la diffusione della musica più avanzata del suo tempo, soprattutto per Wagner e Berlioz, che li ha visti, nel loro debutto, rispettivamente con ilLohengrin  e  il Benvenuto Cellini.
Fino ad allora la produzione di F. Liszt fu limitata quasi esclusivamente ad un unico strumento: il pianoforte; i suoi anni a Weimar segnarono l’inizio della sua dedizione alla composizione di grandi lavori orchestrali, tra cui le sinfonie Faust eDante; i suoi più famosi poemi sinfonici Tasso,Preludi,Mazeppa, Prometeo, Orfeo e le versioni finali dei suoi due concerti per pianoforte e orchestra.
Listz è stato il più prolifico compositore in termini di nuove opere, favorite dal fatto che il musicista aveva deciso di abbandonare la sua carriera di virtuoso per concentrare il suo tempo esclusivamente alla creazione di nuove composizioni.

1Franz Liszt playing on his Bechstein concert grand piano at his appartment in Weimar

faust_LisztTuttavia, nel 1858, a seguito di alcuni conflitti e intrighi con le autorità giudiziarie e il pubblico, fu costretto a dimettersi dalla carica ricevuta a Weimar. L’ultima fase della sua vita fu dominata da un profondo sentimento religioso che lo portò a ricevere, nel 1865, gli ordini minori. Da quel momento iniziò a scrivere una serie di composizioni sacre, tra le quali brillano di luce propria gli oratori La leggenda di Santa Elisabetta d’Ungheria e Christus. Mai come da quel momento, l’abate Liszt è stato conosciuto ed apprezzato, non perdendo però mai il suo gusto per i piaceri terreni.
Il suo contributo alla storia della musica si può riassumere in due aspetti: da un lato l’aver strutturato le risorse tecniche di scrittura e di interpretazione pianistica estese, dall’altro l’aver dato un impulso determinante alla musica a programma, cioè a quella musica che nasce da una ispirazione extra-musicale, sia essa letteraria o pittorica.
dante_lisztPadre del poema sinfonico, la sua influenza è stata decisiva in questo campo, tanto da spianare il lavoro a musicisti successivi come Smetana, Saint-Saëns,Franck e soprattutto Richard Strauss, il quale ne farà una forma musicale perfetta.
Non meno interessante è la novità del suo linguaggio armonico, in cui audaci cromatismi anticipano alcune caratteristiche della musica del suo amico Richard Wagner e anche dei membri della Seconda Scuola Viennese.
Si ricordano, infine, tra la sua sterminata produzione, le trascrizioni fatte da Liszt delle “Parafrasi” di Opere Liriche come: Lucia di Lammermoor, Ernani, Rigoletto, Trovatore, ecc…, opere nelle quali si riscontrano il gusto ed il compiacimento di Liszt per un genere nel quale lo stesso non si cimentò granché, a parte il primordiale esperimento sopracitato; le 19 Rapsodie Ungheresi, dove emerge tutta la sua vitalità popolaresca e il diletto virtuosistico per la tastiera del suo strumento preferito; le Armonie poetiche e religiose del 1845-52; gli Studi Trascendentali del 1851; gli Anni di pellegrinaggio del 1867-77;  le trascrizioni per pianoforte di Lieder di Schubert, Beethoven, Schumann, Mendelssohn, ecc… .
parafrasi_Liszt Liszt fu un poeta del pianoforte, un compositore che aspirava alla platealità, in netta contrapposizione con un suo coevo polacco F. Chopin, che invece, nella sua musica, amava l’intimità. Tutte queste caratteristiche rendono Franz Liszt un musicista rivoluzionario ed unico nel suo genere, ricco di contrasti violenti e di inconfondibili linee melodiche che, ancora oggi,  i pianisti talentuosi affrontano con non poche difficoltà, dati i tecnicismi con cui sono costruite tutte le sue irripetibili composizioni.
Morirà a 75 anni di polmonite a Bayreuth, Germania, nel  1886.

 

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La “Folia Di Spagna”: Antonio Salieri E Le Sue 26 Variazioni Per Orchestra

La “Folia di Spagna”: Antonio Salieri e le sue 26 Variazioni per orchestra.

La Folia è un tema musicale di origine portoghese tra i più antichi della musica europea, che ha origine tra il XV e XVI secolo.
La prima composizione basata su questa melodia compare al finire del 1400, ma la sua origine è ben più antica ed appare già in molti testi del rinascimento spagnolo, in cui la Folia è indicata come una danza ballata da pastori e contadini.

La Folia
Se ne distinguono due forme: una più primitiva, molto varia, ed una più moderna, particolarmente apprezzata ed eseguita durante i secoli XVI e XVII.
Quest’ultima forma si manifesta in maniera più evoluta e codificata per la prima volta nella canzone anonimaRodrigo Martinez, Cancioniero de Placido (1475-1516).
Si presenta come una progressione armonica di un tema semplice ed intuibile, su cui l’esecutore può improvvisare anche all’infinito.
follia2La tarda Folia diventa presto un successo popolare diffuso in tutta Europa ed è conosciuta con nomi diversi in base alle aree geografiche: in Francia, ad esempio, è nota come Le Folies D’Espane (per la sua origine iberica) e come Faronel’s Groundin Inghilterra.
Ma la sua fama la avrà con l’inserimento di questa forma musicale nell’ambito delle corti ad opera di J. B. Lully; prima di lui, solo G. Frescobaldi aveva inserito una serie di Partite(variazioni) Sul Tema de la Folia nel suo primo Libro di Toccate d’intavoluradi Cimbalo et Organo (Roma 1637).
Lully nel 1672 in collaborazione con l’oboista Jean Danican Philidor, compose una marcia sul Tema de la Folia D’Espanedestinata all’esecuzione da parte della Grand Ecurie, banda militare di corte, di cui lo stesso Philidor era membro.
Nel corso di tre secoli oltre 150 musicisti composero brani sul tema della Folia: A. Corelli ne fece uno per la Sonata per Violino op.5 n.12 del 1700; M. Marais nel Secondo Libro per Viola del 1701; A.Vivaldi nella Sonata op.12 n.1 del 1705.
La vetta massima fu sicuramente raggiunta da A. Scarlatti nel 1710, per la complessità e grandiosità delle sue variazioni; ma anche da J. S. Bach, nella Cantata dei Contadini del 1742.
Ma è di Antonio Salieri che vogliamo parlare e delle sue strepitose 26 Variazioni per orchestra sul tema della folia, che hanno innalzato il Maestro sul podio delle eccellenze grazie alla loro magnificenza.

salieri1 Antonio Salieri (1750- 1825), di famiglia agiata veneta, fin da piccolo manifestò una grande predisposizione per la musica ma, rimasto orfano in giovane età, vide disgregarsi la sua agiatezza in un breve lasso di tempo. Andò prima a Venezia e poi, grazie a Florian Gassman, a Vienna, ove visse per il resto della sua vita. Fu compositore presso la corte imperiale di Vienna per la totalità della sua carriera, ove si prodigò anche come insegnante, tanto che tra i nomi dei suoi molti allievi, spiccano quelli diLudwig van Beethoven, Schubert, Liszt, Czerny e Hummel. Si dice che durante la sua vita, plagiò più volte il suo contemporaneoWolfgang Amadeus Mozart (addirittura lo si accusa della sua morte), ma tale plagio non è mai stato dimostrato anzi, qualcuno afferma addirittura che in talune occasioni possa essere stato Wolfgang Amadeus Mozart a plagiare Salieri. Tra le tante e bellissime opere di Antonio Salieri si ricordano la sinfonia in Re maggiore Giorno Onomastico, il Triplo concerto per Violino, Violoncello, Oboe e Orchestra e la Sinfonia La Veneziana.

Rivale di Mozart, Salieri ha mostrato una grande creatività e una grande padronanza musicale, per la gioia degli amanti della musica, presenti e passati.
Dedicò il suo ultimo lavoro, nel 1815, proprio alle 26 Variazioni orchestrali de la Folia Spagnola. Questo è uno studio di orchestrazione vero e proprio sulle possibilità sinfoniche dell’epoca.

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Ascoltandole si avverte subito che questa meravigliosa perla della storia della musica si colloca agli albori del Romanticismo e si discosta nettamente da quello spirito settecentesco che aveva caratterizzato, fino a quel momento, l’intera produzione di Salieri.
Salieri considerava queste 26 Variazioni più che come un’Opera a sé stante, come dei semplici esercizi di stile, ma forse inconsapevolmente, ha lasciato a noi, una composizione di stupefacente bellezza.
salieristudtPeccato che la composizione non si ascolti nei teatri e nelle sale da concerto. Un’opera di questo calibro non può essere dimenticata ed è estremamente riduttivo sentirne solo qualche episodico frammento in taluna colonna sonora cinematografica a tematica storica.
Questo componimento rimarrà indimenticabile e continuerà nei secoli a fare scuola ai posteri, i quali verranno ispirati, come è stato nel XIX secolo per F. Liszt e nel XX secolo per S. Rachmaninoff, a comporre Variazioni su questo tema antichissimo, e lasceranno anch’essi, alle generazioni che saranno, meravigliose composizioni e testimonianze con le loro opere pianistiche.

L’Ottocento tra Classicismo e Romanticismo: Ludwig van Beethoven

Ludwig van Beethoven (1770-1827) è uno dei casi più complicati della storia della musica: cronologicamente collocato in piena epoca classica ma con spirito per eccellenza romantico.

La sua musica, ancora su forme tipicamente tradizionali per l’epoca (Sinfonie, Concerti, Sonate, Quartetti , ecc…), è imbastita di quel romanticismo che avrebbe preso piede nel secondo ventennio del 1800.

Di carattere irrequieto e insofferente, Beethoven riversa nelle sue opere il tormento di una vita trascorsa in solitudine; una vita che non ha visto brillare le gioie dell’amore; una vita passata in continuo isolamento dal mondo per la sua grave sordità.

Nonostante l’infausto destino, la produzione che ci lascia è abbondantissima: è , per così dire, il frutto di una sfida con se stesso, di un’eroe che diventa immortale proprio per mezzo delle sue opere.

La grandezza di Beethoven sta proprio nella sua capacità di non arrendersi, nella sua ferma volontà di non compiangersi, nello sforzo quotidiano di credere in un futuro migliore, magari anche dopo la morte.

Nelle sue opere si ravvisa quel travaglio di vita quotidiana che lo accompagnò sino alla fine della sua esistenza; basti pensare ai Quartetti o ai Trii, per passare alle Sinfonie (la V o la VI  per intenderci), o ad alcune Sonate per pianoforte.

All’epoca era sovente scrivere musica dedicandola a nobili o signori dell’alta borghesia, infatti in tutte le sue opere troviamo questo riferimento, ma Beethoven scriveva principalmente per se stesso, per trovare un senso alla sua vita e pace nella vita terrena.

Per i critici musicali e per il periodo storico in cui opera, Beethoven è stato sempre un autore controverso: chi lo ha visto esclusivamente “Classico”, per le forme musicali usate, chi invece guarda oltre dichiarandolo “Romantico”, pur essendo vissuto solamente per quasi un decennio in cui si diffuse questa corrente letteraria.

Qualcuno oggi asserisce che Beethoven “non aveva ritmo”: parole al vento, la Sonata n°32 op.111 allora non avrebbe ritmo? In essa troviamo, in una variazione del secondo tempo, ritmi di Jazz,  ritmi molto inusuali, se non sconosciuti, per il tempo in cui sono stati composti, basterebbe ascoltare questo capolavoro della musica per cambiare idea.

Ma Beethoven si cimentò anche con altre forme musicali: l’Opera “Fidelio”, un capolavoro, pur essendo stata scritta da un compositore che non aveva pretese da operista; con il Lied, forma di origine tipicamente tedesca per canto e pianoforte, con la quale Beehoven da alla luce veri e propri gioielli musicali e letterari: il ciclo per baritono “An die Ferne Geliebte” su testi di A. Jeitteles è un chiaro esempio.

In questa prospettiva si comprende anche la logica della sua monumentale Nona Sinfonia: il coro intona l’ode An die Freude (Alla Gioia) di Schiller; Beethoven guarda alla gioia sublime che aiuta a superare ogni ostacolo ed esorta gli uomini alla fratellanza e alla comunione dello spirito.

Si riportano, a tal proposito, alcune affermazioni  del grande compositore e direttore d’orchestra Leonard Bernstein che, su Beethoven e sul suo Fidelio nello specifico, dichiarava queste parole durante alcune lezioni per i giovani con la New York Philarmonic Orchestra , e che vennero trasmesse dalla CBS, con il pubblico presente in sala, dal 1958 al 1972:

“La verità è che Beethoven ha raggiunto un’immagine talmente alta del nostro sentire comune che tendiamo ad essere iper-severi e iper-critici verso di lui, non appena la sua musica scenda di un minimo al di sotto della perfezione assoluta”.

Oppure:

“Il Fidelio è una delle composizioni più grandi di Beethoven, nella quale figurano pagine tra le più belle mai concepite da una creatura mortale; opera tra le predilette e amate con devozione, un monumento senza tempo all’amore, alla vita, alla libertà, una celebrazione dei diritti umani, di parola e di dissenso.

E’ un manifesto politico contro la tirannia e l’oppressione, un inno alla bellezza e alla sanità del matrimonio, una vibrante affermazione della fede in Dio quale ultima risorsa per l’uomo.

Tutto questo , e ancora molto di più, è il Fidelio di Beethoven.

 

Questo era il grande Ludwig van Beethoven, l’artista immortale che ci ha regalato con le sue composizioni momenti indiscutibili di grandezza musicale.

Ascoltare musica significa entrare in un mondo creato anche, e soprattutto, per il pubblico da chi ha voluto e saputo offrirci un dono unico e meraviglioso. Nelle note di cui si gode all’ascolto c’è la sofferenza, la passione, l’esaltazione, la vita, insomma, degli uomini che le hanno scritte e ce le hanno trasmesse attraverso il tempo. E in questa nostra epoca, così proiettata verso il futuro, si sente più che mai il desiderio di fermarsi un attimo per assaporare con gioia la grande musica che ci viene dal passato.

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