La Giovanna d’Arco Verdiana alla prima della Scala : Un successo inaspettato!

di Salvatore Margarone

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Inaspettata splendida prima alla Scala di Milano per l’avvio di questa stagione 2015/2016.

Questa sera si è compiuto il miracolo nel teatro d’opera più famoso al mondo. Un teatro stracolmo attendeva  l’inizio di quest’opera, che ha avuto qualche intoppo a seguito della rinuncia del baritono Carlos Álvarez, nel ruolo di Giacomo, per indisposizione fisica, sostituito da Devid Cecconi; una strepitosa Anna Netrebko, nel ruolo di Giovanna, ed un perfetto Riccardo Chailly sul podio dell’orchestra della Scala, hanno reso questo inizio di stagione indimenticabile.

Erano molti anni che quest’opera era assente dai cartelloni del teatro che ha visto il suo debutto nel lontano 1845; la voce soave della Netrebko  aleggiava nel teatro con una semplicità ed una tecnica invidiabile, precisione certosina, mai una difficoltà, una mancanza, una distrazione! Interpretazione che si ricorderà sicuramente, piglio sicuro, filati invidiabili, gusto musicale come poche sue colleghe.

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Carlo VII interpretato da Francesco Meli a dir poco perfetto! Anche se ogni tanto emergeva un po’ di emozione per il ruolo interpretato ed il luogo che incute comunque un po’ di paura; la Scala è sempre la Scala!

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Un bellissimo legato di fiato contraddistingue questo tenore tutto italiano di cui andar fieri; il ruolo di Carlo VII non è affatto semplice, per tessitura, vocalità, interpretazione, richiede un controllo perfetto dell’organo vocale e della emissione della voce, infatti, Francesco Meli, è ben inserito nell’ambiente “belcantistico” dove si è imposto sin da giovane tra i molti per le sue qualità.

In merito al grande Riccardo Chailly, si riporta la descrizione apparsa sul sito web del Teatro alla Scala:

“Il primo 7 dicembre di Riccardo Chailly nelle vesti di Direttore Principale non poteva che essere dedicato a Verdi. Giovanna d’Arco vide la luce alla Scala il 15 febbraio 1845 e vi tornò per l’ultima volta il 23 settembre 1865, 150 anni fa; a dispetto della sua relativa rarità, è un lavoro di altissima qualità musicale come ha dimostrato il successo della ripresa in forma di concerto a Salisburgo nel 2013, supportato dalle voci di Anna Netrebko e Francesco Meli. Alla Scala gli stessi artisti,… saranno protagonisti nella produzione di Moshe Leiser e Patrice Caurier. Tra i sostenitori di questa partitura in cui Verdi aveva già anticipato musica di altri grandi titoli come Simon Boccanegra o Don Carlo, spicca Riccardo Chailly. L’inaugurazione della stagione torna ad essere per il Teatro un momento di forte identità e nello stesso tempo un’operazione culturale di riscoperta della vastità del repertorio italiano.”

Miglior ovazione non poteva esser fatta per uno dei più grandi Direttori d’Orchestra di oggi.

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Belle le scene, però un po’ statiche, ma d’altra parte l’opera non si presta a tanto movimento, anche se è composta da un prologo e tre atti; interessante trovata quella di accatastare mobili sulla scena, sedie rovesciate, mobilio vario un po’ in disordine sul palcoscenico, la presenza della croce, e tanti altri simboli che servivano a rimarcare quella morte e trasfigurazione della protagonista. Belli i costumi, essenziali, ma almeno non proprio moderni come è ormai consuetudine dei costumisti odierni.

Pubblico in delirio alla fine dell’opera, esplodendo con applausi scroscianti ed urlando “Bravi, Bravissimi!”, per essere alla Scala non è cosa così scontata.

Si può solo dare quindi un giudizio più che positivo a questa apertura di Stagione 2015/2016 della Scala di Milano, nella speranza che si prosegua con questa perfezione, è molto tempo che non la si ha!

Bravi, bravissimi!!!

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Coro e Orchestra del Teatro alla Scala

Nuova produzione Teatro alla Scala

 

Durata spettacolo: 2 ore e 30 minuti incluso intervallo

 

Direttore Riccardo Chailly
Regia Moshe Leiser
Patrice Caurier
Scene Christian Fenouillat
Costumi Agostino Cavalca
Luci Christophe Forey
Video Etienne Guiol
Movimenti coreografici Leah Hausman

 

 

INTERPRETI

Carlo VII Francesco Meli
Giovanna Anna Netrebko (7, 10, 13, 15, 18, 21, 23 dic.)
  Erika Grimaldi (2 gen.)
Giacomo Carlos Álvarez
  Devid Cecconi (7 dic.)
Talbot Dmitry Beloselskiy
Delil Michele Mauro

PHOTO BY CORRIERE.IT; TEATRO ALLA SCALA; RAINEWS.

“Cinema” : I Nuovi soundtrack di Andrea Bocelli

 

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di Salvatore Margarone

 

Andrea Bocelli ha pubblicato il suo ultimo CD realizzato in studio per la Sugar dal titolo “Cinema”. Le 16 tracce che lo compongono sono revival rimaneggiati da soundtrack di film passati alla storia come capolavori del cinema; ma di capolavoro non si può parlare invece di questo CD, in quanto, purtroppo Bocelli non è dotato di una “bella voce”: risulta sempre strozzato sugli acuti, suoni presi dal basso e non girati, e non poggiato (come si usa dire in gergo). Un lavoro comunque, questo CD, che ha avrà un posticino sotto l’albero di Natale tra i regali familiari.

E’ vero che Bocelli, per fortuna e facilità mediatica, è diventato un’icona tutta italiana, ma non se ne spiegano ad oggi ancora le ragioni; sicuramente è un’artista, con i suoi difetti e qualche pregio, come ad esempio quello di aver saputo sfruttare l’onda del populismo, ma non certo quello della musica colta!

Poca fantasia, diremmo, per questo lavoro , che di Andrea Bocelli ha ben poco o tutto. Nato come tenore lirico, ma che fortuna non ha avuto in ambito teatrale per ovvi motivi, rivela un appiattimento musicale; noiose, ostentatamente languide, le canzoni proposte da Bocelli, reinterpretate in Italiano per la maggior parte, scadono in quel limbo che molti cantanti di oggi attraversano pur di fare carriera, buttandosi nelle cover d’altri tempi.

La si vuole chiamare “innovazione musicale” questo esperimento discografico? Non si capisce ad oggi a quale genere si possa fare riferimento, forse al genere di musica lirico-pop? cosa anche questa scontata da molto tempo!

Nulla di moderno quindi emerge all’ascolto: entrando più nel dettaglio delle canzoni, Maria, Moon River, E più ti penso, ecc…, rievocano canzoni classiche ma  non riproposte in chiave moderna, insomma la solita solfa, tutta nel suo stile naturalmente.

Pur essendoci dei duetti con voci prestigiose, del calibro di Nicole Scherzinger, voce principale del gruppo pop americano “The Pussycat Dolls”,  altra tattica mediatica questa in grande stile, ancor di più viene oscurata la tanto osannata voce di Bocelli; ancor di più emergono i suoi difetti, oltre che gli stili delle varie canzoni risultano “tutti uguali”; per non parlare del duetto  “Cheek to Cheek” con la moglie Veronica Berti , tanto per completare il bel quadretto familiare all’italiana!

Certo, la casa discografica ha investito sul sicuro facendo uscire il cd in ben 75 paesi di tutto il mondo,e che sarà comunque un successo planetario, com’è uso e costume fare quando si incappa in qualcuno che riesce ad attrarre il pubblico. Uscito il 23 ottobre scorso  l’album contiene temi dal  Dottor Zivago,  Il Padrino,  Il Gladiatore,  Colazione da Tiffany e molti altri, oltre a famose canzoni da musical,  immortalati dalle loro versioni cinematografiche, come la storia lato ovest ed Evita”, come cita il sito web del cantante.

I Liederkreis op. 39 di R. Schumann: l’attrazione verso il demoniaco e lo sconvolgimento dei sensi.

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by Salvatore Margarone

 

Il ciclo di lieder “Liederkreis op.39” di R. Schumann su testi di  Eichendorff fu composto nel   maggio del 1840, il cosiddetto “Jahr der Lieder” anno in cui nacquero 138 composizioni liederistiche, scritte con un ritmo serrato in un anno d’immensa creatività del musicista.

La scelta dei testi da musicare rivela una profonda conoscenza letteraria del compositore, da sempre appassionato di letteratura; tra i poeti coevi prediletti figurano personalità fra cui: Heine, Rückert, Eichendorff, Chamisso ed altri.

Di Eichendorff, Schumann  mise in musica 22 componimenti, di cui 16 Lieder op.39 del 1840; 2 op.45 del 1840; 1 op.77 del 1840; 3 op.83 del 1850;  6 cori del 1847 e 1849.

Le 12 poesie da cui nacquero i Lieder dell’op.39 sono tratte dall’edizione del 1837 curata dallo stesso Eichendorff, una raccolta di testi, alcuni dei quali facevano parte come inserti poetici all’interno di novelle e romanzi. L’ordine cronologico di composizione non corrisponde alla successione decisa per la stesura definitiva, ma rivela sin dall’inizio una tensione unitaria, evidente nella scelta tematica, ma soprattutto nei legami tonali tra gruppi di Lieder consecutivi.

Da uno studio approfondito sul ciclo in questione, si rileva che nella prima edizione pubblicata nel 1842 a Vienna da Haslinger (l’editore della Winterreise di Schubert), i Lieder si trovano nella esatta disposizione delle attuali edizioni, ma sono preceduti da Der frohe Wandersmann, sempre su testo di Eichendorff, che fu omesso poi nell’edizione del 1850 (Whistiling, Lipsia), perché i suoi toni sereni e spensierati uscivano dagli schemi e dall’atmosfera creata dal resto del ciclo.

L’autografo dei Liederkreis op.39 è conservato alla Deutsche Staatsbibliothek di Berlino.

Ma saranno le vicende biografiche del compositore che ci interessano per comprendere la creazione del ciclo.

La tarda primavera del 1840 fu vissuta da Schumann interamente in visione delle future nozze con Clara Wieck, che dopo tante difficoltà date dal padre della giovane pianista si celebrarono il 13 settembre di quell’anno, giorno del ventunesimo compleanno di Clara.

Il pensiero del matrimonio traspare dalle note dell’intero ciclo, tra trepidazioni e timori, ostacoli ed esultanza, come ad esempio nel “Schöne Fremde”.

Se la condizione psicologica è in fondo denominatore comune del ciclo, non mancano tuttavia anche registri diversi: un insieme di suggestioni e di inquietudini si ritrovano nelle pagine dei Liederkreis. Il sentimento di solitudine e di estraneità tipico del Wanderer, la riflessione sul senso della vita, nell’attesa di un riposo dalla natura sin troppo esplicita, domina l’inizio del lavoro.

Un aspetto improvviso è quello dell’attrazione verso il demoniaco, lo sconvolgimento dei sensi, la seduzione pericolosa esercitata dalla natura notturna e da quella femminile; una penombra che cancella i confini e confonde il certo con l’incerto, trasformando anche tutto ciò che è familiare in una parvenza minacciosa e ambigua.

Le tematiche più rappresentative della lirica di Eichendorff sono tutte presenti nel ciclo di Schumann, ed il capolavoro schumanniano non si articola in una serie di episodici momenti, avulsi l’uno dagli altri  e accostati in successione lineare; l’impronta che lo caratterizza è dovuta in primo luogo all’impianto ciclico, alla sua natura di coerente interpretazione musicale di un universo poetico, in cui motivi diversi e immagini disparate sono sempre legate tra loro da una fitta serie di reciproci rimandi e relazioni.

A tal proposito è interessante notare che Schumann definisce l’op.39 Kreis e non Zyklus, la parola italiana ciclo, inevitabilmente chiamata a tradurre entrambi i termini, rischia di appiattire le differenze, eliminando di fatto le non trascurabili sfumature che in tedesco possiedono i due vocaboli.

Secondo un noto studioso (Wiora) Zyklus è una serie di Lieder, in cui si articolano i singoli momenti di una storia disposti secondo un parametro rigidamente temporale, con un “prima” e un “poi”, un inizio e una fine distanti tra loro e ben definiti. Altra caratteristica importante è inoltre la presenza di un elemento unificatore, una sorta di filo conduttore, intorno a l quale si svolge una vicenda dai contorni facilmente leggibili. Tale è per esempio il ruscello della Schöne Müllerin di Schubert, presenza continua, voce incessante, che presiede all’origine e alla meta, osserva l’esordio, il percorso e la conclusione di un’esistenza, impronta eterna e sovra personale dal sembiante di natura, destino, tempo o necessità.

In un Kreis, invece, i legami con un Lied e l’altro sono indubbiamente più labili, meno tangibili. Non abbiamo più una vicenda chiaramente delineata, seguita nel suo evolversi e soprattutto sfuggono l’inizio e la fine.

Appartiene a questa definizione il Winterreise di Schubert, che, per assoluta mancanza di modificazioni e di storia nonché per la casualità di ogni attimo umano, non sembrerebbe appartenere alla categoria Zyklus ma bensì al Kreis.

A queste precisazioni possiamo aggiungere che nella parola Zyklus è implicita anche l’idea di ciclicità, di ricorrenza periodica; nel Kreis, invece, contiene una valenza del tutto astratta e concettuale, figura perfetta, in cui tutto rimanda a tutto, in un equilibrio di perfette proporzioni e di forze.

Nell’universo compiuto dell’op.39, i singoli lieder non percorrono le stazioni di un dramma in progressiva evoluzione, sono piuttosto le tante componenti in cui si articola un compiuto mondo di poesia, nella sua capacità di percepire e di filtrare la realtà. L’unità del ciclo quindi risiede nell’atteggiamento individuale e soggettivo dell’interprete, che sa ricreare e mantenere in musica, pur nella diversità di ciascun momento, il significato dei singoli versi, quell’atmosfera persistente, assorbita nell’assidua frequentazione di tante suggestioni poetiche.

Le relazioni musicali presenti nel Liederkreis op.39 abbracciano tutti i criteri delle tecniche compositive.Già guardando le tonalità in cui sono stati scritti i singoli lieder, si ha l’impressione di un’organizzazione compositiva: si evidenziano, infatti, forti relazioni tonali tra un Lied ed un altro.

Scorrendo il ciclo, ci si accorge come Schumann aveva una profonda comprensione e assimilazione dei testi poetici; in quanto, l’ispirazione della composizione gli arriva sempre dall’emozione prodotta dai versi.

Questi, dai Lieder della Mugnaia dalla Winterreise di Schubert fino ai Georgelieder op.15 di Schömberg, costituiscono una forma peculiare, che grazie alla costruzione bandisce il pericolo di tutta la natura del Lied, e cioè la minimizzazione  della musica in piccoli formati di genere: l’intero sorge dal nesso di elementi da miniatura.

Il livello del ciclo di Schumann non è stato mai posto in dubbio, così come non lo è il suo rapporto con la felice scelta di una grande poesia. Molti dei più significativi versi di Eichendorff sono qui compresi e pochi altri hanno ispirato la composizione per speciali peculiarità. Ma ciò non significa che essi ripetono il contenuto lirico del loro soggetto, perché in questo caso, in base alla suprema economia artistica, sarebbero superflui.

Al contrario essi liberano un potenziale delle poesie, quella trascendenza verso il canto che nasce nel movimento che oltrepassa tutto ciò che è determinato in maniera immagnifica e concettuale, nel mormorio della cadenza della parola. La brevità dei testi scelti ( nessuna composizione, tranne la terza che per così dire è extraterritoriale, è mai più lunga di due pagine) consente a ciascuna una estrema precisione ed esclude anticipatamente la ripetizione meccanica.

Per lo più si tratta di Lieder strofici variati, a volte di forme liederistiche tripartite sul modello a-b-a, alcune volte di forme completamente non convenzionali, che sfociano in un commiato.

I caratteri sono soppesati in maniera precisissima così da tenerli in equilibrio, sia attraverso il potenziamento dei contrasti sia attraverso passaggi di collegamento. Ma proprio la profilatezza dei singoli caratteri rende necessario il piano dell’insieme, se non vuole spezzettarsi nei dettagli; l’ineliminabile questione della consapevolezza di tale piano è indifferente di fronte al risultato della composizione.

Si parla continuamente del formalismo di Schumann e può esserci qualcosa di vero finché si tratta di forme tramandate e a lui già estraniate; quando egli si crea delle forme proprie, come nei primi cicli strumentali e vocali, attesta il senso formale, non soltanto più sottile ma bensì anche di estrema originalità. Alban Berg, nella sua esemplare analisi della Fantasticheria e della sua posizione nelle Scene Infantili, per la prima volta e in maniera cogente ha richiamato l’attenzione su ciò.

La costruzione dei Lieder su testi di Eichendorff, per molti aspetti apparentata alle Scene Infantili, richiede una simile penetrazione, se si vuole uscire dall’asserzione semplicemente ripetitiva della loro bellezza.

La costruzione del Liederkreis ha un rapporto strettissimo col contenuto dei testi. Il titolo Liederkreis, dovuto allo stesso Schumann, va preso alla lettera: la successione è contesta in base alle tonalità  e contemporaneamente dà la misura di una via modulatoria dalla malinconia del primo Lied, in fa diesis min. , all’estasi dell’ultimo, composto nel modo maggiore della medesima tonalità.

Similmente alle Scene Infantili il tutto è articolato in due parti; e precisamente nel più semplice rapporto di simmetria, con la cesura dopo il sesto Lied. Si potrebbe quasi evidenziare come una grande pausa.

L’ultimo Lied della prima parte, Bella terra straniera, è in si magg. , con una risoluta ascesa nella regione della dominante; l’ultimo di tutto quanto il ciclo, in fa diesis magg., porta questa ascesa ancora di una quinta più su. Questo rapporto architettonico esprime un rapporto poetico; il sesto lied finisce con l’utopia della grande felicità futura, con un presagio; l’ultimo, la Notte di Primavera, con il giubilo: “Ella è tua, ella è per te”, col presente. La cesura viene rafforzata dalla pianificazione delle tonalità.

Mentre i Lieder della prima parte sono tutti quanti scritti in tonalità diesate, all’inizio della seconda parte calano due volte in la min, senza accidenti in chiave, per riprendere poi a mo’ di ripresa le tonalità dominanti nella prima parte, finché viene raggiunta la tonalità iniziale e contemporaneamente, con la trasposizione in maggiore, si ottiene il più forte incremento modulatorio.

La successione delle tonalità è bilanciata fin nei minimi particolari; il secondo lied è in parallelo maggiore al primo, il terzo è la sua dominante, il quarto scende al sol maggiore, apparentato per terza, il quinto restaura di nuovo il precedente mi maggiore e il sesto sale un’altra volta al si maggiore.

Dei due lieder in la minore nella seconda parte il primo chiude su un accordo di dominante, che desta il ricordo del mi maggiore;  il seguente, In paese straniero, invece che la minore è in la maggiore, il successivo raggiunge di nuovo il mi maggiore come tonalità di dominante di la maggiore, analogamente al rapporto architettonico del terzo col secondo.

Similmente il decimo, in mi minore, corrisponde al quarto in sol maggiore, entrambi in tonalità che hanno soltanto un diesis. In luogo del mi maggiore del quinto, tuttavia, l’undicesimo ha soltanto il la maggiore, dando in tal modo, con estrema tensione, tutta la sottolineatura modulatoria al passaggio alla tonalità estrema, in fa diesis maggiore. Queste  proporzioni armoniche mediano la forma interna del ciclo.

Esso comincia dunque con due passi lirici, il primo triste, il secondo in un estorto tono allegro. Il terzo, Colloquio nel bosco, la ballata di Lorelei, contrasta sia mediante il tono narrativo sia grazie all’ampia impostazione e alla costruzione a due strofe; nella prima parte questo Lied assume posizione particolare simile a quella che poi nella seconda assumerà Malinconia, collocata in luogo analogo.

Il quarto e il quinto Lied tornano al carattere intimo, ma ne potenziano la delicatezza; sono : Il silenzio, un Lied sul piano, e la Notte, un Lied sul pianissimo. Il sesto,  Bella terra straniera, porta la prima grande esplosione, la seconda parte viene aperta da un lavoro che sta tra il Lied e la Ballata. Malinconia, poi è in forma di intermezzo come prima Colloquio nel bosco, ora però lirico in tutto e per tutto, quasi una autoriflessione del ciclo. Il decimo, Crepuscolo, raggiunge, come esige la poesia, il punto di gravità del tutto, il luogo più profondo e oscuro del sentimento. Di esso si avverte ancora il tremolio dell’undicesimo, la visione di caccia Nel bosco.

Infine, col più forte contrasto di tutto quanto il ciclo, segue l’elevazione della Notte di primavera.

Questa veloce analisi, di tonalità e strutture formali usate da Schumann per la stesura del ciclo, ci fa intuire lo stretto rapporto che l’autore aveva con la letteratura, in quanto, la grandezza di Schumann sta proprio nella maestria di aver reso indimenticabili dei versi in maniera sublime e dimostra, anche in questo repertorio, un grande sentimento romantico tipico del tedesco per antonomasia.

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Erik Satie: l’artista bohémien per eccellenza!

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Nuovo articolo pubblicato su : www.lideamagazine.com

di Salvatore Margarone

 

Quando si parla  di “Artista”, in genere, si è soliti pensare ad una persona che vive in un mondo tutto suo, senza tante regole, o al contrario forse con troppe, che fa una vita sregolata, dissoluta e inaccettabile dalla società per diversi motivi.

Beh, non è che si sbaglia più di tanto nel pensare tutto ciò, ma è vero pure che, proprio questa vita vissuta senza “le regole” dettate dalla società, passata e presente, spinge alle volte gli “artisti” a dare il meglio di loro stessi, sfidando il loro tempo consciamente  e creando intorno a loro quel velo di mistero e fascino che l’arte in genere richiede.

Tanti sono stati i periodi storici e letterari in cui grandi artisti hanno prodotto e lasciato delle opere uniche al mondo, affascinanti, impenetrabili, indecifrabili, eppure, quel velo di mistero, dissolutezza e vita sregolata, attrae la stessa società senza che essa se ne renda conto.

E’ il caso di un compositore francese della seconda metà dell’800, musicista controverso e mal visto per avere, oltre che il mistero dell’artista, una dichiarata avversità verso tutte le regole, dichiarandosi apertamente contro tutte le  convenzioni musicali del suo tempo. I suoi ritratti arrivati a noi oggi, mettono in evidenzia un uomo con piglio sicuro, che ostentava superiorità nel voler essere a tutti i costi un “personaggio” che doveva far parlare di sé.

Siamo in pieno Impressionismo francese, quando questo musicista inizia a comporre una musica strana, non decifrabile immediatamente.

Erik Satie  (Honfleur, Calvados, 1886 – Parigi 1925), il suo vero nome è molto più complesso ossia Alfred-Erik Leslie Satie, ma conosciuto semplicemente come  Erik, fu compositore francese  dell’epoca cosiddetta bohémienne, , per essere più precisi, un’artista bohémien per eccellenza.

“ Sono venuto al mondo molto giovane in un tempo molto vecchio”, confesserà più tardi… .

Nato in un piccolo paesino della Normandia, iniziò gli studi da piccolo con un organista di provincia e li proseguì dodicenne a Parigi , prima con Guilmant, poi al Conservatorio parigino con Lavignac ed altri, mostrando già tutto il suo caratterino ribelle verso le regole tradizionali. Una sua affermazione dice tutto:

Sin dal 1887 si interessò al movimento della Rose-Croix (Rosacroce) e al suo capo e sacerdote , il Sar Péladan, che propugnava un misto di medievalismo, di teosofia e di misticismo; ma trattava di un’adesione piuttosto enigmatica.

Satie scriveva intanto pezzi per pianoforte con strani titoli: Ogives ( 1886), 3 Gymnopédies (1888), 3 Gnossiennes (1890), ai Trois Préludes du “ Fils des étoiles” (1891), un lavoro teatrale  del Sar Péladan che porta il sottotitolo “wagnérie kaldéenne”, seguirono le Sonneries de la Rose-Croix e le Danses Gothiques (1892-93).

Già in queste prime composizioni Satie usa  una scrittura libera, senza divisioni di battute, fondata cromaticamente su accordi complessi, di settime, none, undicesime, terze concatenate, che prefigurano la ricerca armonica e timbrica di C. Debussy, il quale mostrò sempre interesse nei riguardi delle sue composizioni ma, non vera amicizia come gli storici  affermarono qualche tempo fa.

Uscito da questo periodo “mistico”, che vede il culmine con la Messe des pauvres per coro e organo del 1895, Erik, ormai trentenne, iniziò a frequentare gli artisti bohémienne di Montmartre esibendosi nei caffè e nei cabaret parigini, in particolare allo “Chat Noir”;  nacquero così le “Piece froides” per pianoforte , la pantomima “Jack in the box” del 1899 e un’operina in 3 atti per marionette, “Geneviève de Brabant”, della durata di quasi un quarto d’ora, rappresentando una parodia del melodramma, quasi un’anticipazione degli opéras-minuites di Milhaud (composizione del 1899, ma ritrovata solo dopo la morte di Satie).

Nei primi anni del ‘900, esattamente nel 1905, Satie si trasferisce nel sobborgo parigino di Arcueil, qui decise di ricominciare tutto da capo iscrivendosi alla Schola Cantorum per studiare il contrappunto con A. Roussel e la composizione con V. d’Indy; ma anche questo gesto appare oggi molto ambiguo e provocatorio.  In polemica sia con l’accademismo musicale, sia con l’impressionismo di Debussy, verso il 1910 Satie  suscitò l’interesse di Diaghilev , Picasso,  ed infine  di Coucteau col quale diverrà , nel 1918, l’animatore del Gruppo dei Sei.

Alla musica “dotta”  Satie contrappone ora una “musique de tapisserie”, una “musique d’ameublement”, che corrisponde ai postulati estetici posti da Coucteau in “Le Coq et l’Arlequin” del 1918.

Il carattere polemico e contestatario di Satie si manifesta apertamente anche con le sue “didascalie”, mordaci e sottili, come ad esempio nelle “Descriptions automatiques” del 1913, nelle “Heures séculaires et istantanées” del 1914, ne “Le piége de Méduse”, negli “Sports et divertissements” per pianoforte del 1914;  in queste composizione si rileva anche un chiaro esempio del suo prezioso “calligrafismo”.

Verso la fine della guerra  e subito dopo, Satie fece scandalo proponendo due spettacoli molto provocatori, assai vicini al contemporaneo dadaismo: “Parade” (ballet réalist) su testo di Coucteau, scene e costumi di Picasso e coreografia di Massine,  “Relâche” ( ballet Instantanéiste) su testo e scene di F. Picabia, e “Mercure” con scene di Picasso e coreografie di Massine. Intanto anche altri artisti si aggiunsero al seguito di Satie e al Gruppo dei Sei formando la cosiddetta “Ecole d’Arcueil”.

Il lavoro espletato nella vita da Satie non andrà solamente nella direzione della polemica e della provocazione ma bensì oltre, affermando la propria poetica musicale basata sulla totale rinuncia a ogni connotazione soggettiva e in nome di un rigore assoluto e quasi ascetico:  “Socrate”  del 1918, cantata per 4 soprani e orchestra da camera, segnerà l’affermazione esemplare di quell’oggettivismo intellettualistico che influenzerà  anche il neoclassicismo di Stravinskij e dei musicisti che si muoveranno nella sua orbita.

Nella sua vasta produzione musicale sono da ricordare:  i brani orchestrali  “En habit de cheval” e “Trois petites piéces Montées” ( che è stato trascritto anche per pianoforte); pezzi per pianoforte a 4 mani, pianoforte solo, oltre ad alcune raccolte per canto e pianoforte e canzoni da caffè-concerto, fra le quali le celebri Je te veux (1897), Tendrement (1902), Poudre d’or (1902), Le Piccadilly e La Diva  de  l’Empire (1904)

Nel 2016 si festeggerà il 150° anniversario della nascita di questo artista, unico nel suo genere. Molti teatri e  Sale da Concerto sono già all’opera per creare dei cartelloni in cui proporre molte delle sue opere al pubblico, e far tornare indietro nel tempo, al periodo Bohémienne, Parigi e le cittadine a lui care.

http://www.lideamagazine.com/erik-satie-lartista-bohemien-per-eccellenza/

https://operaamormio.wordpress.com/2015/12/01/erik-satie-lartista-bohemien-per-eccellenza/

Il Mondo poetico di Richard Strauss: dalle esperienze nazionalistiche alla messa in musica dei sentimenti.

Nuovo articolo appena pubblicato a New York… buona lettura 🙂

 

http://www.lideamagazine.com/il-mondo-poetico-di-richard-strauss-dalle-esperienze-nazionalistiche-alla-messa-in-musica-dei-sentimenti/

 

1967 Richard Strauss cover

Live Streaming Richard Strauss : Elektra

http://www.staatsoperlive.com/en/live/268/elektra-2015-11-25/#tab_1larsson_web

Vi consiglio di vedere questa splendida edizione in diretta streaming dal Wiener Staatsoper , Mercoledì 25 Novembre 2015 ore 20,45.

Dirigent: Peter Schneider | Regie: Uwe Eric Laufenberg | Mit: Anna Larsson, Nina Stemme, Anne Schwanewilms, Herbert Lippert, Iain Paterson

“PREMIO RIGOLETTO 2015” A DESIREE RANCATORE

PREMIO RIGOLETTO 2015”

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DESIREE RANCATORE

by Salvatore Margarone

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Si è svolta lo scorso 26 Settembre alle ore 21, al Teatro Bibbiena di Mantova, la serata di premiazione dedicata al soprano palermitano Desirée Rancatore, che ha ricevuto il “Premio Rigoletto 2015” con la seguente motivazione:

A Desirée Rancatore, per il grande talento e la professionalità dimostrati in 20 anni di splendida carriera e per aver contribuito a mantenere alto il prestigio della musica italiana nel mondo”

Il premio ricevuto dalla Sig.ra Rancatore, che l’ha vista protagonista nel Galà Lirico che ha fatto da cornice alla serata, le viene conferito dall’Associazione MantuaLirica, presieduta da Erika Mega che ha organizzato la manifestazione in suo onore e che le ha affiancato anche altri artisti dalle inconfutabili doti nei ruoli operistici verdiani. La serata è stata allietata con Arie famose dalle opere di Verdi. Cornice un folto pubblico intervenuto che ha esaurito tutti i posti del settecentesco Teatro Bibbiena.

L’evento presentato con grande maestria e simpatia da uno splendido Riccardo Maria Braglia, Direttore Artistico di MantuaLirica, ha visto anche tra gli ospiti l’erede del grande compositore Giuseppe Verdi, la Sig.ra Gaia Verdi per la consegna dei premi, e Paolo Borgognone, altro ospite premiato per Critica Musicale.

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Paolo Borgognone e Gaia Verdi

Desirèe Rancatore, il cui debutto risale al lontano 1996, è un soprano di coloratura particolare che regala continuamente al suo pubblico immense emozioni per le sue doti vocali e interpretative. Ad oggi, la Rancatore, che viene premiata per la brillante carriera, è protagonista nei cartelloni dei teatri più famosi non solo Europei, ma di tutto il mondo, regalando continuamente al suo pubblico immense emozioni per le sue doti vocali e di attrice, che mescola con estrema maestria e semplicità.

Le sue qualità vocali, scoperte da piccola dalla madre Maria Argento che l’ha instradata al canto, la porteranno presto a Roma per proseguire lo studio con Margaret Backer Genovesi, con la quale comincia un percorso fruttuoso, iniziato con il debutto austriaco, nel 1996, al Festival di Salisburgo; in quella occasione ricopre il ruolo di Barbarina ne “Le Nozze di Figaro” di Mozart.

Da qui la sua lunga e brillante carriera, corroborata da intelligenza artistica e professionalità, sempre coronata, anche tutt’oggi, da trionfi plateali e da plausi anche da parte delle testate giornalistiche specializzate che la definiscono il “soprano più popolare di oggi”.

In questa serata mantovana, la Sig.ra Rancatore, ha omaggiato il pubblico presente esibendo le sue meravigliose doti vocali in due arie verdiane: “E’ strano…è strano…” , da La Traviata, e “Ave Maria” da Otello, per finire con un bis del Brindisi, di Traviata, con il tenore Roberto Costi.

La Rancatore, tra l’altro riconosciuta dalle testate giornalistiche come la più perfetta interprete di Gilda, in Rigoletto, per la capacità di far convivere voce e recitazione, è apparsa molto emozionata per il Premio appena ricevuto dall’Associazione organizzatrice, al suo pubblico.

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Desirée Rancatore riceve il premio da Gaia Verdi

Il prossimo 4 Ottobre a Correggio, il soprano riceverà il Premio Pavarotti d’Oro 2015, altro prestigiosissimo riconoscimento alla sua carriera.

I suoi prossimi impegni, a breve scadenza, la vedranno in Giappone con diverse recite de La Traviata di G. Verdi.

Nota di merito è sicuramente la semplicità di questa donna rimasta umile, cosa purtroppo rara in questo ambiente; ciò è un pregio che le fa onore e che fa onore a tutti gli Italiani.

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Gaia Verdi, Erika Mega, Desirée Rancatore, Riccardo M. Braglia, Paolo Borgognone

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il Teatro Bibbiena di Mantova

Concludiamo ringraziando gli ospiti che hanno partecipato al Galà Lirico: Li Siqi – Mezzosoprano, Roberto Costi -Tenore, Erika Mega – Soprano, il pianista Saverio Martinelli, che con le loro performance hanno arricchito la serata; gli sponsor che hanno sostenuto l’evento, Fondazione Mantova per lo Spettacolo, Comune di Mantova, Provincia di Mantova, La Corte dei Gonzaga, L’Ordine dei Medici di Mantova, senza dei quali la serata non avrebbe potuto avere la prestigiosa organizzazione.

I migliori auguri di una lunga e brillante carriera a questo soprano siciliano, che possa continuare a regalare ancora tantissime emozioni al pubblico di tutto il mondo.

PHOTO BY SALVATORE MARGARONE

http://www.lideamagazine.com/premio-rigoletto-2015-al-soprano-desiree-rancatore/

Leonard Bernstein (1918 – 1990) 25° anniversario della morte. Musicista, compositore, direttore d’orchestra.

 

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by Salvatore Margarone

 

Per ricordare il grande Compositore e Direttore d’Orchestra scomparso venticinque anni fa, vogliamo tracciare la sua vita e le tappe professionali che hanno lo visto protagonista indiscusso del xx secolo.

Leonard Bernstein (Lawrence, Massachusetts, 1918) è stato un compositore, direttore d’orchestra, critico, pianista e divulgatore statunitense. Allievo di Walter Piston per la composizione e di Fritz Reiner per la direzione d’orchestra, fu forse la più influente figura di musicista della seconda metà del Novecento. Il suo lavoro come compositore, in particolare nelle sue partiture per i “musical” prodotti da Broadway, come “West Side Story” e “On the Town”, hanno di fatto creato un ponte fra la musica cosiddetta (con un termine errato e generico), “classica” e quella “popolare”.

Nei suoi lavori più impegnati, invece, si è mostrato legato ad un’ispirazione di stampo neoromantico, all’uso dell’ormai “antiquata” tonalità e sensibile al folclore nordamericano. Tutte cose che gli hanno attirato, per un lungo periodo, gli strali degli esponenti dell’avanguardia e che lo hanno fatto giudicare un musicista di seconda fila.

A ventun’anni, andò al Curtis Institute di Philadelfia per studiare pianoforte con Isabella Vengerova, orchestrazione con Randall Thompson e appunto direzione d’orchestra con Fritz Reiner. Secondo una sua testimonianza diretta, è proprio allora che cominciò a considerare le partiture dal punto di vista della direzione orchestrale, dove fino a quel momento, da perfetto studente di Harvard orientato più che altro all’analisi particolareggiata, le aveva considerate o dal punto di vista del pianista o da quello del compositore. Insomma, prima di allora non aveva mai guardato un testo con l’idea di dirigerlo.

A partire dai suoi studi con Reiner, invece, Lenny (come viene chiamato dai sui fan), ha sempre avuto l’obiettivo, si potrebbe dire il chiodo fisso, di “identificarsi” con il compositore, ossia di sforzarsi di arrivare ad un grado di conoscenza dell’opera talmente elevato da avere la sensazione di esserne quasi diventato l’autore.

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Ma sentiamo le sue parole dirette: “A parte questo, rimangono naturalmente molte altre cose da dire: per esempio, in che modo affronto lo studio di una nuova partitura, o anche di una partitura non nuova, perché, nel vero senso della parola, ogni partitura è nuova tutte le volte che ci si accinge a studiarla. Così, quando presi a rileggere la Nona sinfonia di Beethoven per la cinquantesima volta, dissi a me stesso che le avrei dedicato al massimo un’ora dopo cena, giusto il tempo di dare un’occhiata e di rinfrescarmi la memoria prima di andare a letto. Ahimè! Dopo mezz’ora, ero ancora a pagina due. Ed ero ancora alle prese col sacro testo alle due del mattino, e – badi bene [rivolto all’intervistatrice, N.d.r.]- non certo vicino al Finale! Ero ancora fermo all’Adagio, rapito in mezzo alle stelle, perché vi stavo trovando un’infinità di cose nuove. Era come se non l’avessi mai vista prima. Naturalmente, ricordavo tutte le note, come pure tutte le idee, la struttura, perfino il suo mistero. Ma c’è sempre qualcosa di nuovo da scoprire, e non appena trovi una cosa nuova, ecco che le altre ti appaiono come sotto una luce diversa, perché la novità altera la relazione con tutto il resto. È impossibile immaginare quante cose nuove ci sono da scoprire, specialmente in Beethoven, che fu particolarmente vicino a Dio e uno dei compositori dalla personalità più ricca che siano mai esistiti…

Il suo leggendario debutto avvenne il 14 Novembre 1943, in sostituzione di un mostro sacro come Bruno Walter (celeberrimo musicista, pupillo fra l’altro di Gustav Mahler). Walter doveva tenere un concerto alla Carnegie Hall ma all’improvviso accusò dei malori, motivo per il quale dovette essere sostituito all’ultimo minuto. Sul podio venne chiamato lo sconosciuto Bernstein, allora appena venticinquenne. L’esecuzione (trasmessa oltretutto via radio), sbalordì i presenti e ricevette critiche entusiastiche, tanto da lanciare Lenny nell’empireo delle giovani promesse da seguire (aspettative poi ampiamente mantenute…).

Il 1951 è invece l’anno della successione alla guida stabile della New York Philarmonic dopo la morte di S.A. Kussevitzky, altro direttore dal forte carisma. Nello stesso anno sposò l’attrice e pianista cilena Felicia Montealegre (con la quale ha curato esecuzioni di musica con voce recitante, fra cui “Parable of Death” di Lucas Foss e “Jeanne d’Arc au bûcher” di Honegger), la stessa che compare ritratta nella copertina del celebre disco del “Requiem” di Mozart, inciso proprio in ricordo della scomparsa di Felicia (evento che, quando avvenne, gettò Lenny nella più cupa disperazione).

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Dal 1958 al 1969 Bernstein è stato dunque direttore stabile della Filarmonica di New York (più di qualsiasi altro direttore), periodo a cui si devono esecuzioni memorabili, molte delle quali documentate dalle tantissime incisioni realizzate. Al contrario di altri artisti sommi (come ad esempio Arturo Benedetti Michelangeli o Sergiu Celibidache), Bernstein, infatti, non fu mai ostile all’incisione e anzi si può dire che egli fu uno dei più assidui frequentatori delle sale di registrazione, non tralasciando nemmeno, quando le nuove tecnologie stavano prendendo piede, le riprese video o le dirette televisive. In questo è molto simile al suo collega d’oltreoceano Herbert von Karajan.

Professore di musica alla Brandeis University dal ’51 al ’56, è stato anche il primo direttore americano invitato alla Scala per dirigere opere italiane: “Medea” (1953), “Boheme” e “Sonnambula” (1955). Nel ’67 è stato insignito della medaglia d’oro della “Mahler Society of America” (non dimentichiamo che è stato uno dei più grandi interpreti di Mahler del Novecento…), e, nel ’79, del Premio UNESCO per la musica. Dal ’61 è stato membro del National Institute of Arts and Letters.

Dimessosi dalla carica di direttore stabile, si dedicò soprattutto alla composizione anche se, con il tempo, riprese a dirigere, senza però legarsi ad una qualche orchestra particolare. Anzi, questo periodo di “libertà” è famoso per le realizzazioni effettuate con le più blasonate compagini mondiali, fra cui spiccano, in particolare, i Wiener Philarmoniker. Sul piano discografico, per gran parte della sua carriera, incluso il suo leggendario periodo passato a capo della Filarmonica di New York, Bernstein ha inciso esclusivamente per la Columbia/CBS Masterworks (etichetta ora acquisita dalla Sony Classical), e ha collaborato con i più grandi solisti e cantanti in circolazione. Dall’iconoclasta Glenn Gould (la loro esecuzione del secondo di Brahms è un vero e proprio “caso” della storia della musica), al più ortodosso (ma sempre profondissimo) Zimerman; dalla cantante Janet Baker (gli struggenti, insostenibili, “Kindertoten Lieder” di Mahler) al violinista Isaac Stern (il Concerto per violino di Beethoven).

Riassumere l’intera attività di Bernstein è davvero un’impresa ardua. In sintesi, si può dire che questo musicista rappresenta quanto di meglio la musica abbia prodotto nel corso del Novecento. Non solo Bernstein ha contribuito, insieme a pochissimi altri (fra cui, naturalmente, Gershwin alla costituzione di una forma di teatro tipicamente americana autonoma e originale rispetto al Melodramma, ma si è anche posto fra gli esecutori più geniali che mai siano apparsi sul podio (e impressionante è, in questo senso, il divario fra certa sua natura “leggera” e lo spirito vibratile, dissolutorio, con cui affrontava le partiture orchestrali. Si ascolti il nichilistico finale della Nona di Mahler). Lenny ha saputo così fondere, in una miscela che non cade mai nel cattivo gusto o nella faciloneria, la musica colta di tradizione europea e i linguaggi peculiari tipicamente americani fra cui, oltre al già di per sé “colto” jazz, anche quelli del musical e della ballad (come nel balletto “Fancy Free” o nell’opera comica “Candide”).

Indimenticabile ad esempio il suo “West Side Story”, una rivisitazione in chiave moderna dello scespiriano Romeo e Giulietta, zeppa di canzoni memorabili e dove, al posto dei Capuleti e dei Montecchi vi si narra lo scontro fra bande di portoricani nella New York di fine anni cinquanta. E per chi avesse dei dubbi sulle sue capacità di pianista, si rimanda caldamente l’ascolto dei quintetti di Shumann e di Mozat incisi con il Julliard quartett.

Infine, Berstein è stato uno dei più insigni ed efficaci didatti mai esistiti. Insuperabili sono rimaste le sue lezioni dirette al pubblico giovane o dei bambini, trasmesse dalla televisione americana (i cosiddetti “Philharmonic’s Young People’s Concerts”). Documenti di altissimo livello (sebbene mai accademici), in cui si osserva davvero un genio all’opera. Questi concerti, e le conversazioni che li accompagnavano, furono ideati, scritti e presentati in TV interamente da lui e attraverso di loro un’intera generazione di americani ha scoperto e visto crescere in sè l’amore per la musica.

I suoi lavori “impegnati” comprendono invece la “Jeremiah Symphony” (1942), “The Age of Anxiety” per pianoforte e orchestra (basata sull’omonima poesia di W.H.Auden), (1949), la “Serenata per violino, archi e percussioni” (1954), la “Messa”, composta per l’inaugurazione del Centro John F. Kennedy per le Arti dello Spettacolo a Washington (1971) e “Songfest” per sei voci soliste e orchestra (1977). Ha scritto l’opera “Trouble in Tahiti” (1952), e oltre alla già ricordate commedie musicali, non sono da dimenticare i lavori sinfonico-corali come “Kaddish” (1963) e “Chichester Psalms” (1965). Molta anche la musica di scena e per film. Tanto per non farsi mancare niente, infatti, Bernstein ha anche vinto un Oscar per la migliore colonna sonora del film “On the waterfront” (“Fronte del porto”).

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Ha dichiarato: “Dopo le esecuzioni che io chiamo buone (un’esperienza incredibile come se componessi in quel momento…), devono passare alcuni minuti prima che riesca a ricordare dove mi trovo, in quale sala o teatro, in quale Paese, o chi sono. Una sorta di estasi che corrisponde in tutto e per tutto alla perdita di coscienza“. Non sarebbe comunque giusto passare interamente sotto silenzio il Bernstein divo, l’amico delle star e dei produttori di Broadway e di Hollywood nonché di scrittori e drammaturghi, di capi di stato e di cancellieri. «E’ un tormento degno di Amleto essere un vero progressista», sospirò esasperato dopo l’ammirazione entusiastica che aveva suscitato un party da lui dato in onore di un gruppo di Black Panters. Grazie alla diretta conoscenza di questo mondo, a lui si deve il neologismo “radical-chic”, parola con cui soleva indicare i personaggi della sinistra nuovayorchese usi a ritrovarsi, un po’ snobisticamente, nei più prestigiosi salotti della città.

Leonard Berstein si è spento dopo una lunga malattia (era fra l’altro un incallito fumatore), nel 1990, lasciando un vuoto incolmabile di fantasia e di creatività, ma anche di profondità e di serietà, nell’approccio di quella grande arte che si chiama Musica, arte che in lui non avrebbe potuto trovare miglior servitore.

[Le dichiarazioni di Bernstein sono tratte dal volume “Maestro”, a cura di Helena Matheopulos, Vallardi editore]

http://www.lideamagazine.com/leonard-bernstein-1918-1990-25-anniversario-della-morte/

RICHARD STRAUSS: LA FORZA ESPRESSIVA DELLA MUSICA

di Biancamaria Faggin

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Musica e Letteratura dal vivo nell’evento culturale che ,il 1 agosto 2015, ha attirato un gruppo consistente di appassionati nella Libreria Mondadori di Piazza Insurrezione a Padova. Il Maestro, Salvatore Margarone, ha scritto il saggio “Richard Strauss. Uomo e musicista del suo tempo”, edito dalla Casa Musicale Eco.  Un testo che, in occasione del 150° dalla nascita del compositore, ne ripercorre l’opera, contestualizzata nei difficili anni tra la fine dell’Ottocento e il Secondo dopoguerra, attraverso tempi drammatici che dall’Impero portano al Nazismo con scelte artistiche personali che coniugano perfettamente idealità e professione.

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                Ha introdotto l’evento la prof.ssa Marina Agostinacchio, docente di Lettere e poetessa, tracciando un efficace profilo del compositore tedesco, fedele espressione del suo tempo, e lo stesso autore del libro, intervenendo nella presentazione, ha  puntualizzato la singolare tempra di Richard Strauss.

Ne è emersa una figura di musicista che grandeggia in poemi sinfonici di straordinaria forza emotiva, in particolare nei primi due capolavori teatrali, “Salomè” ed “Elektra”.

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La presentazione è stata completata, con riferimenti più specifici all’aspetto musicale, dalla musicologa Vesna Brocca che ha tracciato l’avventura artistica dello Strauss: dal tardo Romanticismo alle esperienze teatrali, fino all’appassionata scrittura di Lieder: occasione giusta  per trasformare la stessa musica in poesia, e accade quando le note valgono come parole. A testimonianza di tale capacità, è seguito un coinvolgente concerto: al pianoforte il maestro Salvatore Margarone, al leggio la soprano, Mara Paci. Sui testi di dieci Lieder dalla passionalità intensa, si è modulata la voce calda e potente della Paci tra toni alti ed acuti e sfumature tenui e dolci, mentre il pianoforte, all’unisono con la parola, ha espresso l’originalità e la grandezza del compositore tedesco.

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Ha concluso l’evento lo stesso Margarone con una riflessione che suona come verità assoluta:” i testi in lingua tedesca dei Lieder, cantati sulla musica di Strauss, trasmettono, aldilà delle diversità foniche, una forza comunicativa straordinaria perché il linguaggio della musica è universale”.

Biancamaria Faggian

Richard Strauss -Uomo e musicista del suo tempo

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Lo scorso anno 2014, esattamente un anno fa, usciva il mio ultimo libro “Richard Strauss – Uomo e musicista del suo tempo” edito dalla Casa Musicale Eco di Monza.

In occasione del 150° anniversario della nascita di questo mirabile compositore, ho voluto sfidare me stesso in questa impresa… direi che mi è riuscita, visti i risultati ottenuti a distanza di solo un anno!

Mi ha dato tantissime soddisfazioni, tante recensioni positive, tante presentazioni con recital di Lieder di R. Strauss in Italia… repertorio da me amato!

Adesso sono quasi pronto per la prossima avventura editoriale su S.Rachmaninoff… che uscirà a breve… vi terrò informati naturalmente…

Intanto vi consiglio Richard Strauss…:-) dove? in libreria! (Mondadori, La Feltrinelli, IBS Store, Amazon, ecc…)

Buona lettura!

Salvatore Margarone

http://www.casamusicaleeco.com/shop/it/libri/738-richard-strauss-9788860535009.html