Franz Schubert: il “Biedermeier” della musica a cavallo tra due secoli.

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di Salvatore Margarone

Viennese, ha una breve vita, come tanti compositori romantici: nasce nel 1797 e muore a soli trentun anni, nel 1828. Figlio di un maestro elementare, professione a quel tempo di notevole rilievo, compì i suoi studi musicali nel più prestigioso collegio viennese, sotto la guida di Antonio Salieri. La sua vita, la sua attività di compositore, la sua posizione sociale presentano i contrasti tipici del periodo romantico: dopo aver intrapreso la professione paterna la abbandona per la ricerca di una vita libera e tutta dedita alla musica; solo occasionalmente ottiene degli incarichi che gli garantiscono la sopravvivenza (è maestro di pianoforte delle giovani figlie del conte Esterhazy, e per esse scrive delle splendide pagine pianistiche a quattro mani); molto più spesso vive ospite di amici attori, poeti, artisti per i quali compone delle musiche intime, delicate, a volte leggere, che animano le famose “schubertiadi” (serate dedicate a Schubert) e sposano le caratteristiche stilistiche del Biedermeier. Questa leggerezza, questo apparente disimpegno sono però intimamente connessi con l’amara consapevolezza di non appartenere al mondo, di non poter desiderare la felicità, perché “in questo mondo miserabile che dovremo farcene noi della felicità, quando l’infelicità è l’unica sferza che ci rimane?”, citando le sue stesse parole.

In relazione al mondo e alla vita, Schubert non può definirsi un vinto come Mozart, che fu deluso nelle sue aspirazioni al successo e alla libera professione, né un vincitore nonostante tutte le avversità, come Beethoven. La definizione che maggiormente lo inquadra è quella del “viandante”: Schubert vide tutto il male e il dolore della vita, si sentì inadeguato a viverla con quella libertà individuale che desiderò fortemente, concepì un pessimismo esistenziale che non trovò una collocazione come in Leopardi o in Schopenhauer, entrambi suoi contemporanei.

La sua musica esprime tutto ciò, spesso in modo lieve, caratterizzato da una grande ricchezza e melodiosità di temi racchiusi in piccole forme: serenate, improvvisi, fantasie, composizioni pianistiche brevi e prive di quella grande elaborazione che caratterizza i compositori romantici. A torto, però, per lungo tempo egli è stato considerato un compositore eccelso solo nelle piccole forme musicali, ridotto a primeggiare in una dimensione intima e salottiera: se è vero che la dimensione intima fu privilegiata dalla sua sensibilità, che tese ad esprimere per gli amici e non per tutti gli uomini, è altrettanto vero che la sua solida formazione classica, rivisitata in chiave romantica, gli consentì di dare un importantissimo e originale contributo alla storia della sinfonia.

La forma sonata non vide più la contrapposizione fra due soli temi, ma iniziò, proprio con Schubert, la compresenza di tre o più temi, il dualismo fra tonica e dominante divenne sempre più spesso un dualismo fra tonica e modale, assumendo i contorni più sfumati dell’oscillazione fra modo maggiore e modo minore e creando un particolare coinvolgimento emotivo, meno forte e più melanconico, nell’ascoltatore. Tutto questo avvenne in una fase compositiva quasi mai allietata dal successo di una pubblica esecuzione: è interessante sapere che, fra le sue sinfonie, la n. 8 in Si min., detta “Incompiuta”, celeberrima, fu eseguita per la prima volta quarant’anni dopo la morte dell’autore, e la n. 9, detta “La Grande”, fu trovata, dopo la sua morte, fra le sue carte da Schumann.

Un discorso a parte meritano gli oltre seicento Lieder per voce e pianoforte, che mettono in musica liriche dei massimi poeti tedeschi, da Schiller e Goethe, Novalis, Heine, ma anche di minori, quali Schobart , autore del celebre Die Forelle, (La trota) e Müller, autore del ciclo Die Schöne Müllerin (La bella mugnaia). Il Lied, dopo una storia che ha le sue origini in forma monodica nel Medioevo e divenne poi, nel Quattrocento, una forma polifonica, presenta già nell’epoca classica delle forme sia corali che solistiche con Mozart e Beethoven, ma solo con Schubert acquisisce una vitalità e una fisionomia che lo rende un genere romantico per eccellenza; dopo Schubert comporranno per questo genere soprattutto Schumann, Mendelssohn, Brahms, Wolf, Mahler, Richard Strauss, Schönberg, sia in forma solistica che in forma corale.

Tra le forme utilizzate troviamo quella strofica (la melodia si ripete con parole diverse), quella giustapposta, (diverse sezioni melodiche si susseguono), la forma Durchcomponiert, o ininterrotta, tutta originale; alcuni sono brevissimi, altri complessi, altri lievi pagine liriche (Heidenröslein, La Rosellina della landa), altri ancora hanno grande intensità drammatica (si pensi a Erlkönig, Il re degli ontani, scritto a 17 anni, su versi di Goethe). Da ricordare, fra i cicli: Die Schöne Müllerin (La bella mugnaia), Winterreise (Viaggio d’inverno),  Schwanengesang (Il canto del cigno, denominato così dopo la morte dell’autore).

Infine, l’ascoltatore con un orecchio più accorto può riconoscere, in alcune splendide composizioni cameristiche, melodie che richiamano alcuni celebri Lieder che Schubert ha sapientemente utilizzato come tema melodico per nuove partiture: è il caso del quintetto Die Forelle, per quartetto d’archi e pianoforte, e del Der Tod und das Mädchen (La morte e la fanciulla), che costituisce il tema del secondo movimento dell’omonimo quartetto per archi in Re minore.

Il compositore non si dedicò esclusivamente alla produzione liederistica, ma scrisse anche molta musica da camera: trii, quartetti e quintetti,  sonate per pianoforte, sonate per violino e pianoforte; e ancora messe, magnificat ed opere liriche (tra le quali si ricordano: Gli amici di Salamanca, Claudine von Villa Bella, I gemelli, Alfonso ed Estrella, I Congiurati, Fierrabras e Rosamunde).

Considerata la sua breve vita terrena, Schubert fu pertanto notevolmente prolifico, e tutt’oggi è considerato autore di riferimento nel passaggio tra due secoli importanti della storia della musica, il Classicismo e il Romanticismo, fecondissime epoche che hanno prodotto diamanti ancora lucenti e sfavillanti nel panorama musicale odierno, nel quale Schubert continua a brillare di luce propria.

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Johannes Brahms: la ricerca di uno stile.

By Salvatore Margarone

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Johannes Brahms (Amburgo 1833 – Vienna 1897) è tra gli illustri compositori tedeschi del XIX secolo.

Dai primi rudimenti musicali appresi dal padre, suonatore di contrabbasso, passò velocemente allo studio del pianoforte con F.W. Cossel. La sua capacità di apprendimento nel campo musicale gli permise, sin da giovanissimo, di guadagnarsi un posto in alcune orchestre locali, nelle quali ha imparato l’arte dell’accompagnamento, nonché di approfondire lo studio della composizione con E. Marxsen.

Già a vent’anni accompagnava il famoso violinista R. Reményi in alcune tournée, e grazie a quest’ultimo, conobbe il violinista, direttore d’orchestra e compositore tedesco J. Joachim che, già famoso, lo introdusse nei più influenti circoli musicali tedeschi dell’epoca.

In questi circoli ebbe la fortuna di incontrare Franz Liszt a Weimar (1853) che, dai documenti giunti a noi fino ad oggi, pare lo lasciò quasi del tutto indifferente. Cosa contraria invece avvenne per l’incontro con Robert Schumann a Düsseldorf. quest’ultimo, vedendo in Brahms una sorta di antidoto alla corrente progressista rappresentata da Liszt e Wagner, in un vigoroso articolo sulla “Neue Zeitschrift für Musik” di quell’anno, lo segnalò al pubblico come una promessa della nuova generazione musicale.

Gli anni che seguirono furono dedicati, con devozione, all’amica Clara Schumann, alla quale rimase costantemente vicino durante l’inguaribile malattia del marito Robert (1854-56).

In questo stesso periodo Bramhs, , fino ad allora rimasto nell’ambito dei Lieder e delle composizioni per pianoforte, incoraggiato sempre più dall’amico Joachim, allo scopo di allargare il suo orizzonte tecnico-stilistico, coltivò esercizi di contrappunto e si accostò alla tecnica orchestrale. Iniziò così un periodo fecondo nel quale nacquero capolavori come i 2 Quartetti con pianoforte op.25 e op. 26, composizioni sinfonico-corali, come il Requiem Tedesco ed il Canto del Destino, che più tardi avrebbero fatto da trampolino di lancio alla Sinfonia vera e propria.

In Brahms si nota una consapevole gradualità nell’affrontare le diverse forme musicali in cui cimentarsi, il Nostro va infatti dalle più semplici a quelle sempre più complesse, facendo emergere così una consapevole ascesa nella gerarchia dei suoi valori musicali, al cui vertice troviamo la Sinfonia.

La sua devozione all’ideale della forma, le cui radici affondano nell’eredità lasciata da Beethoven, trovandosi al di qua di quella soglia romantica, e la sua fiducia che la musica possegga autonomamente, in assoluto, i germi della propria espressione, finirono col costringere Brahms a ricoprire  il posto di capo del partito antiwagneriano e dei classicisti. In realtà Bramhs era alieno ad ogni forma di polemica; ciononostante, la polemica sopravvisse ai suoi maggiori protagonisti, trovando anche, dopo la morte di Wagner, una sorta di variante alla contrapposizione fra Bramsh e Bruckner.

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Solo molto più in là si cominciò a capire che ciò che accomuna Brahms al romanticismo è più importante di ciò che lo separa, e a considerare, in tal modo, la sua opera come l’altro versante di un’unica realtà espressiva.

Nell’attività creativa di Brahms, la composizione pianistica, come fu per Beethoven, costituì una costante essenziale su cui preparare gli strumenti indispensabili per affrontare altri generi; di questi anni (1852-53) è il Primo Concerto per Pianoforte, e seguirono a ruota i suoi capolavori: Le Variazioni su un tema di Paganini op.35 e le Variazioni su un tema di Häendel op.24; a dieci anni di distanza prendono corpo anche le Variazioni su un tema di Haydn op.56 in una doppia versione, per orchestra e per pianoforte a 4 mani.

Del 1858-69 sono le 21 Danze Ungheresi op.35 per pianoforte a 4 mani, avvolte da quella vena popolare delle copiose raccolte di Kinderlieder (canzoni infantili)  per canto e pianoforte (1858) e di Volkslieder (canzoni popolari) per coro a cappella o per voce e pianoforte (1858, 1864, 1894).

Nell’ultimo periodo, cioè quello che va dal 1878 al 1897, Brahms può pienamente compiere il suo desiderio verso la Sinfonia, approcciando al pianoforte Capricci, Intermezzi e Rapsodie, solamente come una sorta di confessione pianistica.

Sono del 1877 e del 1878 la Prima e Seconda Sinfonia, rispettivamente op. 68 e op. 73, e le 2 Ouvertures per orchestra op. 80 e 81 (l’Accademica e la Tragica); troviamo anche Quartetti e Quintetti, oltre che alla Sonata per violoncello e pianoforte op.99; la Terza e la Quarta Sinfonia op. 90 e 98; in ultimo si ricordano le Sonate per violino e pianoforte op. 78,100 e 108, i Trii dell’op. 87 e 101,  i due Quintetti op.114 e 115, e le due Sonate per clarinetto e pianoforte op.120, che sono caratterizzate da una straordinaria pregnanza espressiva e da un’inquietudine armonica e timbrica, dove si denotano le ultime e forse più alte espressioni di tutta l’arte brahmsiana.

Ascoltando le sue opere possiamo dunque osservare quanto Brahms sia stato molto più vicino a Wagner che a Beethoven di quanto egli stesso pensasse, per la tortuosità e l’ampiezza dei giri armonici, soventemente spinti alle estreme possibilità tonali (come faceva Wagner del resto) e mai rigidamente conclusivi.

Perla del tardo romanticismo tedesco, Johannes Brahms rimarrà un autore fondamentale di transizione di un’epoca intramontabile che sfocerà, di lì a breve, in scombussolamenti tonali e formali che vedranno emergere compositori di spicco, tra cui l’ormai celeberrimo Richard Strauss, le cui innovazioni stilistico-armoniche, ancora oggi si ascoltano molto volentieri nelle composizioni.

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Antonio Vivaldi: il “Prete Rosso” padre della Sinfonia

Antonio Vivaldi: il “Prete Rosso” padre della Sinfonia

di Salvatore Margarone

 

Antonio Lucio Vivaldi (Venezia 1678 – Vienna 1741)  fu compositore e violinista italiano del periodo Barocco che, grazie al suo abbondante lavoro, esercitò una forte influenza sullo sviluppo musicale dell’epoca e portò ad un consolidamento stilistico di una delle forme musicali più in voga dell’epoca: la sinfonia.

Poco si conosce circa l’infanzia di Antonio. Fu figlio del violinista Giovanni Battista Vivaldi, grazie al quale, sin da piccolo, iniziò a cimentarsi nell’arte musicale. Antonio Vivaldi intraprese presto anche la carriera ecclesiastica e fu ordinato sacerdote nel 1703;  solo un anno più tardi, “il Prete Rosso” (nome affibbiatogli per il colore dei suoi capelli), fu costretto a rinunciare alla celebrazione della Santa Messa a seguito di una malattia bronchiale, forse l’asma.

Negli stessi anni (1703-04) Antonio divenne professore di violino presso il Pio Ospedale della Pietà, istituzione veneziana dedicata all’educazione musicale delle giovani orfane. Collegato ad esso per anni, molte delle sue composizioni furono eseguite prima di tutto dalla stessa orchestra femminile. In questo contesto nacquero i suoi primi lavori come le Suonate da camera op. 1 pubblicate nel 1705, e i dodici concerti che compongonoL’Estro Armonico Op. 3  pubblicati ad Amsterdam nel 1711.

Anche se  tali composizioni appaiono, ad un primo approccio, sotto la forma del “concerto grosso”, vivacità e fantasia d’invenzione, dato che tendono verso una concezione individualista, ne superano lo schema e prendono quindi la direzione del “concerto solista”, successivamente ancor più definita nei dodici concerti intitolati La Stravaganza Op.4. Questi ultimi,  strutturati in tre movimenti (Allegro –Adagio – Allegro), risultano, quasi esclusivamente, composizioni omofoniche, leggere e veloci, con modulazioni dinamiche ed espressive, inclini allo sviluppo del suo creatore, e sono fonte di nuove emozioni nel processo d’ invenzione.

Furono proprio questi componimenti che diedero ben presto grande fama ad  Antonio Vivaldi  in tutta Italia, che si diffuse molto velocemente nel resto d’Europa; questa non riguardava solo le sue composizioni ma anche, e non da ultimo, il violinista che egli rappresentava tra i  grandi virtuosi del suo tempo. Basta osservare le difficoltà delle parti soliste dei suoi concerti o sonate da camera per avvertire il livello tecnico raggiunto dallo stesso in questo campo.

Vivaldi fu autore prolifico non solo di  musica nel genere del Concerto, ma anche  di molta musica da camera, vocale e operistica. Famoso soprattutto per  i suoi quattro concerti per violino e orchestra riuniti sotto il titolo de  Le Quattro Stagioni, la cui fama ha eclissato le altre sue opere dello stesso valore, se non di più, di per sé Vivaldi è  uno dei più grandi compositori del periodo barocco, promotore della cosiddetta  scuola veneta, a cui  appartengono anche Tommaso Albinoni e i fratelli Benedetto e Alessandro Marcello e, di pari passo, con la qualità e l’originalità del loro contributo, i suoi contemporanei Bach e Haendel.

Conosciuto e ricercato, l’ambito dell’opera era l’unico genere che garantiva grandi profitti per i compositori del tempo; infatti, Vivaldi stesso ne fu attratto, anche se la sua condizione ecclesiale gli  impedì di affrontare tale genere, inizialmente considerato troppo banale e poco edificante. In realtà, i suoi superiori rimproverarono a Vivaldi sia la sua poca dedizione al culto sia i suoi costumi lassisti.

Immerso nel mondo del teatro, come autore e imprenditore, produrrà Ottone in Villa (1713), che fu la prima opera di Vivaldi di cui si ha notizia; seguirono titoli come Orlando Furioso, Armida al campo d’Egitto, Tito Manlio e L’Olimpiade, oggi, purtroppo,  rappresentate solo sporadicamente nei teatri.

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Musicista di fama, raggiunse il picco a metà della sua vita con la pubblicazione dei suoi più importanti componimenti strumentali, Il cimento dell’armonia e dell’inventione Op.8 e La cetra Op. 9. La prima raccolta fu pubblicata ad Amsterdam nel 1725 e conteneva un totale di 12 concerti, di cui i primi quattro per violino intitolati Le Quattro Stagioni, che, ad oggi, rimangono le migliori composizioni e le più famose di tutto il lavoro; la seconda raccolta, composta anch’essa da 12 concerti, fu dedicata all’Imperatore d’Austria Carlo VI e pubblicata due anni dopo nel 1727.

Le Quattro Stagioni dall’Op.8, non solo mostrano la capacità semantica della musica, ma anche la capacità del musicista di ricreare i suoni ricorrenti nelle stagioni: il tempo, le suggestioni, l’intimismo. Si possono definire una primordiale tipologia di musica a programma.

Il sonetto, che precede ognuna della quattro stagioni, descrive il ciclo annuale della natura: gli uomini che lavorano e gli animali che lo abitano. Ciascuno dei quattro concerti, quindi, sviluppa musicalmente il suo componimento letterario di autore ignoto, o forse dello stesso Vivaldi: il primo, La  Primavera, raffigurata nel sonetto anteposto, imita, ad esempio, il canto degli uccelli in primavera.  Il dettaglio descrittivo del desiderio raggiunge la sua rappresentazione attraverso il violino solista imitandone il pastore addormentato, mentre i restanti violini imitano il mormorio delle piante e la viola il cane che abbaia.

Il secondo descrive il torpore estivo della natura al sole arido dopo una tempesta, come annunciato nel primo movimento, raggiungendo la sua massima violenza alla fine dell’Autunno (il terzo), che sembra presieduto dal dio Bacco: ha l’ebbrezza soporifera di un abitante del villaggio, vendemmiando felicemente, poi, all’alba, appare una nuova figura, il cacciatore, con i suoi corni e i suoi cani in cerca di prede. Nell’ Inverno (il quarto), predominano le immagini sonore della neve e del ghiaccio, elementi tipici di questa stagione.

Firma di Vivaldi su una lettera contenuta presso gli Archivi di Stato di Bologna. | Archivi di Stato Bologna.  Image by © Arne Hodalic/CORBIS

La popolarità di questo componimento risale allo stesso momento della sua creazione, tanto che, soprattutto del primo concerto, La Primavera, circolarono in Francia alcune copie con imitazioni scritte a mano degli arrangiamenti. Verso la fine degli anni ’30 del XVIII secolo, il pubblico veneziano cominciò a mostrare  poco interesse verso la sua musica, così Vivaldi decise, nel 1741, di tentare la fortuna oltralpe dirigendosi  a Vienna, dove morì in povertà assoluta un mese dopo il suo arrivo.

Dopo la sua morte, la sua musica cadde nell’oblio per un lungo periodo; la riscoperta di queste opere  non avvenne prima del ventesimo secolo, grazie alla mano paziente di Bach, che aveva trascritto precedentemente i suoi dodici concerti per diversi strumenti.

A soli due anni dalla ripresa e dalla diffusione della sua opera, la musica di Vivaldi divenne tra la più eseguita nel mondo. Nonostante il triste epilogo del compositore veneziano e il lungo periodo di abbandono, l’opera di Vivaldi contribuì, attraverso Bach, a gettare le basi per quella che sarebbe stata la musica dei maestri del classicismo, in particolare in Francia, e a consolidare la struttura del concerto solista.

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Franz Liszt: L’Ungherese Virtuoso Del Pianoforte.

Franz Liszt: l’Ungherese virtuoso del pianoforte.

Franz Liszt nasce a Raiding, Ungheria, nel 1811, compositore e pianista virtuoso si distinguerà dai coevi per le sue spiccate doti musicali, divenute oramai memorabili. La sua vita è uno dei romanzi più emozionanti della storia della musica: virtuoso senza pari in tutto il corso della sua vita, soprattutto in gioventù, fu circondato da un’aura di artista geniale, violentemente diviso tra estasi mistica e estasi demoniaca.
Studente a Vienna  di Carl Czerny e Antonio Salieri, le sue performance causarono scalpore e lo portarono a trasferirsi con il padre a Parigi dove, nel 1825,  presentò il suo unico catalogo d’opera, Don Sanche, ou Le Château d’amour, accolta con poco entusiasmo dal pubblico parigino che lo considerò, più che un grande compositore, soltanto un pianista prodigio.
Nella capitale francese incontrò due dei musicisti che influenzarono molto la sua formazione musicale: il compositore Hector Berlioz con la sua Symphonie Fantastique e, in misura ancor maggiore, il violinista Niccolò Paganini. L’udire quest’ultimo in un recital, nel 1831, fu una vera e propria rivelazione per il giovane virtuoso, il quale ricevette un imprinting di carattere violinistico nel suo modo di suonare: da quel momento, l’obiettivo di Liszt venne raggiunto al pianoforte con effetti sorprendenti, riuscendo ad estrarre Paganini dal suo violino. E vi riuscì soprattutto nei fatidici Studi di esecuzione.

liszt1dante_Liszt Idolo dei salotti parigini, risale all’anno 1834 la sua relazione con Marie d’Agoult, Comtesse de Flavigny, da cui avrà sua figlia Cosima, futura moglie del direttore d’orchestra Hans von Bülowprima, e Richard Wagner più tardi.
La sua carriera musicale, nel frattempo, continuò in modo inarrestabile e nel 1848  ottenne la carica di maestro di cappella di Weimar, una città diventata nel frattempo un punto di riferimento per la diffusione della musica più avanzata del suo tempo, soprattutto per Wagner e Berlioz, che li ha visti, nel loro debutto, rispettivamente con ilLohengrin  e  il Benvenuto Cellini.
Fino ad allora la produzione di F. Liszt fu limitata quasi esclusivamente ad un unico strumento: il pianoforte; i suoi anni a Weimar segnarono l’inizio della sua dedizione alla composizione di grandi lavori orchestrali, tra cui le sinfonie Faust eDante; i suoi più famosi poemi sinfonici Tasso,Preludi,Mazeppa, Prometeo, Orfeo e le versioni finali dei suoi due concerti per pianoforte e orchestra.
Listz è stato il più prolifico compositore in termini di nuove opere, favorite dal fatto che il musicista aveva deciso di abbandonare la sua carriera di virtuoso per concentrare il suo tempo esclusivamente alla creazione di nuove composizioni.

1Franz Liszt playing on his Bechstein concert grand piano at his appartment in Weimar

faust_LisztTuttavia, nel 1858, a seguito di alcuni conflitti e intrighi con le autorità giudiziarie e il pubblico, fu costretto a dimettersi dalla carica ricevuta a Weimar. L’ultima fase della sua vita fu dominata da un profondo sentimento religioso che lo portò a ricevere, nel 1865, gli ordini minori. Da quel momento iniziò a scrivere una serie di composizioni sacre, tra le quali brillano di luce propria gli oratori La leggenda di Santa Elisabetta d’Ungheria e Christus. Mai come da quel momento, l’abate Liszt è stato conosciuto ed apprezzato, non perdendo però mai il suo gusto per i piaceri terreni.
Il suo contributo alla storia della musica si può riassumere in due aspetti: da un lato l’aver strutturato le risorse tecniche di scrittura e di interpretazione pianistica estese, dall’altro l’aver dato un impulso determinante alla musica a programma, cioè a quella musica che nasce da una ispirazione extra-musicale, sia essa letteraria o pittorica.
dante_lisztPadre del poema sinfonico, la sua influenza è stata decisiva in questo campo, tanto da spianare il lavoro a musicisti successivi come Smetana, Saint-Saëns,Franck e soprattutto Richard Strauss, il quale ne farà una forma musicale perfetta.
Non meno interessante è la novità del suo linguaggio armonico, in cui audaci cromatismi anticipano alcune caratteristiche della musica del suo amico Richard Wagner e anche dei membri della Seconda Scuola Viennese.
Si ricordano, infine, tra la sua sterminata produzione, le trascrizioni fatte da Liszt delle “Parafrasi” di Opere Liriche come: Lucia di Lammermoor, Ernani, Rigoletto, Trovatore, ecc…, opere nelle quali si riscontrano il gusto ed il compiacimento di Liszt per un genere nel quale lo stesso non si cimentò granché, a parte il primordiale esperimento sopracitato; le 19 Rapsodie Ungheresi, dove emerge tutta la sua vitalità popolaresca e il diletto virtuosistico per la tastiera del suo strumento preferito; le Armonie poetiche e religiose del 1845-52; gli Studi Trascendentali del 1851; gli Anni di pellegrinaggio del 1867-77;  le trascrizioni per pianoforte di Lieder di Schubert, Beethoven, Schumann, Mendelssohn, ecc… .
parafrasi_Liszt Liszt fu un poeta del pianoforte, un compositore che aspirava alla platealità, in netta contrapposizione con un suo coevo polacco F. Chopin, che invece, nella sua musica, amava l’intimità. Tutte queste caratteristiche rendono Franz Liszt un musicista rivoluzionario ed unico nel suo genere, ricco di contrasti violenti e di inconfondibili linee melodiche che, ancora oggi,  i pianisti talentuosi affrontano con non poche difficoltà, dati i tecnicismi con cui sono costruite tutte le sue irripetibili composizioni.
Morirà a 75 anni di polmonite a Bayreuth, Germania, nel  1886.

 

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La “Folia Di Spagna”: Antonio Salieri E Le Sue 26 Variazioni Per Orchestra

La “Folia di Spagna”: Antonio Salieri e le sue 26 Variazioni per orchestra.

La Folia è un tema musicale di origine portoghese tra i più antichi della musica europea, che ha origine tra il XV e XVI secolo.
La prima composizione basata su questa melodia compare al finire del 1400, ma la sua origine è ben più antica ed appare già in molti testi del rinascimento spagnolo, in cui la Folia è indicata come una danza ballata da pastori e contadini.

La Folia
Se ne distinguono due forme: una più primitiva, molto varia, ed una più moderna, particolarmente apprezzata ed eseguita durante i secoli XVI e XVII.
Quest’ultima forma si manifesta in maniera più evoluta e codificata per la prima volta nella canzone anonimaRodrigo Martinez, Cancioniero de Placido (1475-1516).
Si presenta come una progressione armonica di un tema semplice ed intuibile, su cui l’esecutore può improvvisare anche all’infinito.
follia2La tarda Folia diventa presto un successo popolare diffuso in tutta Europa ed è conosciuta con nomi diversi in base alle aree geografiche: in Francia, ad esempio, è nota come Le Folies D’Espane (per la sua origine iberica) e come Faronel’s Groundin Inghilterra.
Ma la sua fama la avrà con l’inserimento di questa forma musicale nell’ambito delle corti ad opera di J. B. Lully; prima di lui, solo G. Frescobaldi aveva inserito una serie di Partite(variazioni) Sul Tema de la Folia nel suo primo Libro di Toccate d’intavoluradi Cimbalo et Organo (Roma 1637).
Lully nel 1672 in collaborazione con l’oboista Jean Danican Philidor, compose una marcia sul Tema de la Folia D’Espanedestinata all’esecuzione da parte della Grand Ecurie, banda militare di corte, di cui lo stesso Philidor era membro.
Nel corso di tre secoli oltre 150 musicisti composero brani sul tema della Folia: A. Corelli ne fece uno per la Sonata per Violino op.5 n.12 del 1700; M. Marais nel Secondo Libro per Viola del 1701; A.Vivaldi nella Sonata op.12 n.1 del 1705.
La vetta massima fu sicuramente raggiunta da A. Scarlatti nel 1710, per la complessità e grandiosità delle sue variazioni; ma anche da J. S. Bach, nella Cantata dei Contadini del 1742.
Ma è di Antonio Salieri che vogliamo parlare e delle sue strepitose 26 Variazioni per orchestra sul tema della folia, che hanno innalzato il Maestro sul podio delle eccellenze grazie alla loro magnificenza.

salieri1 Antonio Salieri (1750- 1825), di famiglia agiata veneta, fin da piccolo manifestò una grande predisposizione per la musica ma, rimasto orfano in giovane età, vide disgregarsi la sua agiatezza in un breve lasso di tempo. Andò prima a Venezia e poi, grazie a Florian Gassman, a Vienna, ove visse per il resto della sua vita. Fu compositore presso la corte imperiale di Vienna per la totalità della sua carriera, ove si prodigò anche come insegnante, tanto che tra i nomi dei suoi molti allievi, spiccano quelli diLudwig van Beethoven, Schubert, Liszt, Czerny e Hummel. Si dice che durante la sua vita, plagiò più volte il suo contemporaneoWolfgang Amadeus Mozart (addirittura lo si accusa della sua morte), ma tale plagio non è mai stato dimostrato anzi, qualcuno afferma addirittura che in talune occasioni possa essere stato Wolfgang Amadeus Mozart a plagiare Salieri. Tra le tante e bellissime opere di Antonio Salieri si ricordano la sinfonia in Re maggiore Giorno Onomastico, il Triplo concerto per Violino, Violoncello, Oboe e Orchestra e la Sinfonia La Veneziana.

Rivale di Mozart, Salieri ha mostrato una grande creatività e una grande padronanza musicale, per la gioia degli amanti della musica, presenti e passati.
Dedicò il suo ultimo lavoro, nel 1815, proprio alle 26 Variazioni orchestrali de la Folia Spagnola. Questo è uno studio di orchestrazione vero e proprio sulle possibilità sinfoniche dell’epoca.

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Ascoltandole si avverte subito che questa meravigliosa perla della storia della musica si colloca agli albori del Romanticismo e si discosta nettamente da quello spirito settecentesco che aveva caratterizzato, fino a quel momento, l’intera produzione di Salieri.
Salieri considerava queste 26 Variazioni più che come un’Opera a sé stante, come dei semplici esercizi di stile, ma forse inconsapevolmente, ha lasciato a noi, una composizione di stupefacente bellezza.
salieristudtPeccato che la composizione non si ascolti nei teatri e nelle sale da concerto. Un’opera di questo calibro non può essere dimenticata ed è estremamente riduttivo sentirne solo qualche episodico frammento in taluna colonna sonora cinematografica a tematica storica.
Questo componimento rimarrà indimenticabile e continuerà nei secoli a fare scuola ai posteri, i quali verranno ispirati, come è stato nel XIX secolo per F. Liszt e nel XX secolo per S. Rachmaninoff, a comporre Variazioni su questo tema antichissimo, e lasceranno anch’essi, alle generazioni che saranno, meravigliose composizioni e testimonianze con le loro opere pianistiche.

L’Ottocento tra Classicismo e Romanticismo: Ludwig van Beethoven

Ludwig van Beethoven (1770-1827) è uno dei casi più complicati della storia della musica: cronologicamente collocato in piena epoca classica ma con spirito per eccellenza romantico.

La sua musica, ancora su forme tipicamente tradizionali per l’epoca (Sinfonie, Concerti, Sonate, Quartetti , ecc…), è imbastita di quel romanticismo che avrebbe preso piede nel secondo ventennio del 1800.

Di carattere irrequieto e insofferente, Beethoven riversa nelle sue opere il tormento di una vita trascorsa in solitudine; una vita che non ha visto brillare le gioie dell’amore; una vita passata in continuo isolamento dal mondo per la sua grave sordità.

Nonostante l’infausto destino, la produzione che ci lascia è abbondantissima: è , per così dire, il frutto di una sfida con se stesso, di un’eroe che diventa immortale proprio per mezzo delle sue opere.

La grandezza di Beethoven sta proprio nella sua capacità di non arrendersi, nella sua ferma volontà di non compiangersi, nello sforzo quotidiano di credere in un futuro migliore, magari anche dopo la morte.

Nelle sue opere si ravvisa quel travaglio di vita quotidiana che lo accompagnò sino alla fine della sua esistenza; basti pensare ai Quartetti o ai Trii, per passare alle Sinfonie (la V o la VI  per intenderci), o ad alcune Sonate per pianoforte.

All’epoca era sovente scrivere musica dedicandola a nobili o signori dell’alta borghesia, infatti in tutte le sue opere troviamo questo riferimento, ma Beethoven scriveva principalmente per se stesso, per trovare un senso alla sua vita e pace nella vita terrena.

Per i critici musicali e per il periodo storico in cui opera, Beethoven è stato sempre un autore controverso: chi lo ha visto esclusivamente “Classico”, per le forme musicali usate, chi invece guarda oltre dichiarandolo “Romantico”, pur essendo vissuto solamente per quasi un decennio in cui si diffuse questa corrente letteraria.

Qualcuno oggi asserisce che Beethoven “non aveva ritmo”: parole al vento, la Sonata n°32 op.111 allora non avrebbe ritmo? In essa troviamo, in una variazione del secondo tempo, ritmi di Jazz,  ritmi molto inusuali, se non sconosciuti, per il tempo in cui sono stati composti, basterebbe ascoltare questo capolavoro della musica per cambiare idea.

Ma Beethoven si cimentò anche con altre forme musicali: l’Opera “Fidelio”, un capolavoro, pur essendo stata scritta da un compositore che non aveva pretese da operista; con il Lied, forma di origine tipicamente tedesca per canto e pianoforte, con la quale Beehoven da alla luce veri e propri gioielli musicali e letterari: il ciclo per baritono “An die Ferne Geliebte” su testi di A. Jeitteles è un chiaro esempio.

In questa prospettiva si comprende anche la logica della sua monumentale Nona Sinfonia: il coro intona l’ode An die Freude (Alla Gioia) di Schiller; Beethoven guarda alla gioia sublime che aiuta a superare ogni ostacolo ed esorta gli uomini alla fratellanza e alla comunione dello spirito.

Si riportano, a tal proposito, alcune affermazioni  del grande compositore e direttore d’orchestra Leonard Bernstein che, su Beethoven e sul suo Fidelio nello specifico, dichiarava queste parole durante alcune lezioni per i giovani con la New York Philarmonic Orchestra , e che vennero trasmesse dalla CBS, con il pubblico presente in sala, dal 1958 al 1972:

“La verità è che Beethoven ha raggiunto un’immagine talmente alta del nostro sentire comune che tendiamo ad essere iper-severi e iper-critici verso di lui, non appena la sua musica scenda di un minimo al di sotto della perfezione assoluta”.

Oppure:

“Il Fidelio è una delle composizioni più grandi di Beethoven, nella quale figurano pagine tra le più belle mai concepite da una creatura mortale; opera tra le predilette e amate con devozione, un monumento senza tempo all’amore, alla vita, alla libertà, una celebrazione dei diritti umani, di parola e di dissenso.

E’ un manifesto politico contro la tirannia e l’oppressione, un inno alla bellezza e alla sanità del matrimonio, una vibrante affermazione della fede in Dio quale ultima risorsa per l’uomo.

Tutto questo , e ancora molto di più, è il Fidelio di Beethoven.

 

Questo era il grande Ludwig van Beethoven, l’artista immortale che ci ha regalato con le sue composizioni momenti indiscutibili di grandezza musicale.

Ascoltare musica significa entrare in un mondo creato anche, e soprattutto, per il pubblico da chi ha voluto e saputo offrirci un dono unico e meraviglioso. Nelle note di cui si gode all’ascolto c’è la sofferenza, la passione, l’esaltazione, la vita, insomma, degli uomini che le hanno scritte e ce le hanno trasmesse attraverso il tempo. E in questa nostra epoca, così proiettata verso il futuro, si sente più che mai il desiderio di fermarsi un attimo per assaporare con gioia la grande musica che ci viene dal passato.

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